SpazioInter’s Stories – Stefan de Vrij, dalle polemiche agli applausi

Ce lo ricordiamo tutti, quel Lazio-Inter di fine maggio 2018. In un Olimpico stracolmo, la Lazio cercava il colpaccio casalingo all’ultima giornata di Serie A per il definitivo quarto posto in classifica e conseguente qualificazione ai gironi di Champions League, che manca dalle parti di Formello dal 2007. Tutti avrebbero dato il massimo in quella sfida cruciale, persino quel difensore olandese con la 3 sulle spalle, che pochi giorni prima si era accordato con i nerazzurri per un trasferimento sulle sponde del Naviglio.

Inizia così l’avventura di Stefan de Vrij con la maglia dell’Inter, con un paradosso: il nativo di Ouderkerk aan den IJssel, un villaggio dell’Olanda meridionale di circa cinquemila anime, si gioca la qualificazione in Champions con i biancocelesti contro i colori che abbraccerà dopo poche settimane. In sostanza, vincere quella gara significava consegnare la possibilità di ascoltare quella magica musichetta prepartita alla sua ex squadra, mentre a lui sarebbe toccata la musica della serie cadetta, l’Europa League. Non volete che ci fossero polemiche? Stefan causa il rigore del momentaneo 2-2, siglato da Mauro Icardi, che poi porta la Lazio a soccombere sotto lo stacco imperioso di Matias Vecino, nel primo dei suoi celebri colpi di testa salvifici.

Prima, però, facciamo un passo indietro: prima del 2-3 nella sua ultima gara sulla sponda biancoceleste del Tevere, prima dei primi allenamenti a Formello, prima che creasse un sodalizio con il calcio nostrano.

EMOGLOBINA, PIASTRINE E FEYENOORD

La sua storia calcistica parte nel più classico dei modi: entra a contatto con il mondo del pallone a 5 anni, quando si è abbastanza grandi per decidere di iniziare a fare uno sport, ma si è ancora troppo piccoli per assimilare in fretta le conoscenze tecnico-tattiche del gioco; Stefan, però, è diverso: con la maglia del VV Spirit attira gli osservatori di diverse compagini olandesi, finchè un giorno decide di partecipare ad una giornata di provini collettivi a circa due ore e mezza dal suo villaggio natale, a Rotterdam, precisamente nel quartiere di Feyenoord. Il risultato? È quello che spicca maggiormente nell’amichevole organizzata contro l’ARC ed il suo nome finisce presto in un contratto che lo lega alle giovanili del club lungo la Mosa.

La sua maturazione calcistica, che avviene in tempi brevissimi, va però a scontrarsi con la vulnerabilità del suo carattere: Stefan ha paura di deludere sempre il prossimo, non dice mai no. La corazza che mostra in campo è l’armatura che protegge questa sua debolezza, che non ha mai abbandonato. Eppure i suoi progressi si notano, probabilmente perché sa di non poter lasciare i suoi tecnici con un’amara sensazione d’insoddisfazione: la scalata verso la prima squadra procede a passi levati, nella fetta di torta più dolce della sua carriera calcistica, quella dell’adolescenza.

Stefan è il faro dell’Under-15, poi dell’Under-17, poiché l’Under-16 l’ha saltata a piè pari. E poi arriva quella chiamata da un pilastro del calcio olandese, quel Mario Been che nell’estate 2009 sedeva nella panchina casalinga allo Stadion Feijenoord:

Stefan, sei promosso in prima squadra. Ci vediamo ad allenamento.

Ce la immaginiamo così, considerata la stima reciproca tra il suo primo allenatore ad alti livelli ed il florido 17enne olandese; stima che porta alla definitiva consacrazione di de Vrij sulle vetrine del panorama calcistico mondiale, ma che non frutta grandi risultati per i biancorossi di Rotterdam, destinati ad essere sempre un passo indietro rispetto agli acerrimi rivali della capitale Amsterdam, i lancieri dell’Ajax.

Nel 2012, attratto dalle sue ottime prestazioni in Eredivisie, Louis Van Gaal lo fa esordire in maglia Oranje, e nell’estate 2014, dopo il bronzo ottenuto nel Mondiale in Brasile, fa di tutto per portarlo al Theatre of Dreams per vestire la casacca del Manchester United. Stefan, però, ha un accordo di massima con la Lazio e sposa la causa biancoceleste, iniziata nel migliore dei modi e finita ad insulti.

DA PILASTRO A TRADITORE

Avevo già dato la parola alla Lazio e per me è stata una scelta ideale. In Serie A ho imparato a smussare alcuni aspetti del mio gioco, comprendendo il grande lavoro tattico di reparto che è alla base di ogni buona prestazione. Sapevo di avere delle qualità nella lettura del gioco, ma in Italia le ho ampliate ogni domenica.

Avete altro da aggiungere? Ha detto tutto il protagonista: le caratteristiche mostrate al pubblico di nicchia olandese ora erano sotto gli occhi di tutti, grazie al palcoscenico della Serie A. In poco tempo diventa un vero e proprio pilastro della Lazio, prima sotto la direttiva di Stefano Pioli e poi con Simone Inzaghi, che se lo trova a Formello come un vero e proprio regalo di Natale anticipato: era rimasto lontano dal campo per quasi un anno a causa di un gravissimo infortunio, e quando il fratello di SuperPippo è arrivato a Roma Stefan è tornato in pompa magna dopo la riabilitazione. Sì, come se l’intervento di microfratture del condilo femorale laterale e meniscectomia selettiva laterale in artroscopia del ginocchio sinistro non fosse mai accaduto. Guerriero.

Con la Lazio sono 118 presenze in 5 stagioni, di cui l’ultima, paradossalmente, è la migliore, senza considerare le accuse di tradimento arrivate a maggio inoltrato: Supercoppa Italiana vinta contro la Juventus in estate e 7 gol stagionali, mai così tanti dagli inizi in Olanda. Ora, però, preferisce sfornare passaggi chiave per i compagni, come vuole Antonio Conte.

IL NERAZZURRO E LA CABINA DI REGIA (ARRETRATA)

Come detto, dopo la gara del paradosso, de Vrij passa ufficialmente in nerazzurro a parametro zero. È finito il tempo dei tracolli difensivi nerazzurri, che possono contare su una vera e propria muraglia, con Stefan e Skriniar a coprire Handanovic. La prima annata nella Milano nerazzurra, però, si conclude con un déjà-vu: l’Inter si qualifica alla Champions League all’ultima giornata di campionato, ma questa volta de Vrij non è un avversario.

Nella scorsa estate, in Cina hanno iniziato a preoccuparsi: la muraglia edificata a San Siro fa invidia alla maestosa opera architettonica asiatica, con Godin che si unisce alla causa nerazzurra. Ora è GDS, con l’uruguaio ad affiancare l’olandese e lo slovacco; ora è difesa a tre, fissa e stabile sotto i dettami di Conte e con Alessandro Bastoni che scalpita per dare fiato ai tre colossi là dietro.

Ora è de Vrij in mezzo alla retroguardia, con compiti molto simili a quelli assegnati a Leonardo Bonucci nella prima Juve delle conquiste italiane, quella con l’allenatore pugliese in panchina: Stefan non si occupa solo di marcature e letture sugli avversari, ma smista palloni che è una meraviglia: dall’inizio della stagione sono già 4 gli assist serviti ai compagni, compreso lo spettacolare scavetto che ha lanciato Lautaro Martinez verso l’1-0 contro il Borussia Dortmund in casa.

L’Inter viaggia ad altà velocità e parte del merito va data all’olandese volante, passato dal piccolo villaggio d’infanzia ad una metropoli desiderosa di tornare in cima al calcio italiano. Il paradosso si può dimenticare: ora, per Stefan de Vrij, si sprecano solo gli applausi.

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