Lo ha detto lui: “It’s still me”.
Tocca fidarsi allora, perchè Ashley non è uno che non pesa le parole; lo dimostrano il suo carisma, il suo palmarès e, soprattutto, la decisione maturata circa cinque stagioni fa: la sua permanenza da titolare come esterno offensivo scricchiolava, così è stato reinventato laterale a tutta fascia ed all’occorrenza persino esterno di difesa. Ma è sempre stato lui.
L’inizio di carriera di Ashley è stato “turbolento”; non tanto perchè è il classico incipit da ragazzo nato e cresciuto in condizioni precarie e difficili, ma più che altro per la convivenza con un altro nativo di Stevenage, che deciderà di passare i suoi giorni ad alta velocità: vi dice qualcosa un certo Lewis Hamilton?
Ashley e Lewis crescono assieme, condividendo amicizie e banchi di scuola, quelli della Henry Newman School; ben presto, però, le loro strade si separano: Hamilton prosegue gli studi e a 12 anni entra a far parte del vivaio della scuderia McLaren, mentre Young viene notato dagli osservatori del Watford. È bravo, talmente tanto che i suoi allenatori lo portano quotidianamente da Stevenage (dove continua ad andare a scuola) a Watford (per gli allenamenti): ne vale la pena, dicono. E avevano ragione.
Passano gli anni ed arriva la decisione definitiva; è stato bello Stevenage, ma c’è una carriera in Premier League da conquistare: Ashley si trasferisce nell’Hertfordshire e passa le sue giornate immerso nell’accademia Watford. Gioca bene e scala le gerarchie, tant’è che a 16 anni entra già nell’Under 18 e appena maggiorenne debutta in prima squadra: se il primo anno risulta essere il primo step nel processo della gavetta, l’anno successivo è già un veterano da 34 presenze in prima squadra. Ma il miglior momento per Ashley al Watford non è ancora arrivato.
Solo nell’annata successiva, quando mister Boothroyd lo prova da attaccante, esplode incontrastato il talento di Young: 14 reti in 42 partite, offerte che piovono da ogni club; ci prova il West Ham, mettendo sul piatto 10 milioni, ma Ashley rifiuta. Il 23 gennaio successivo, però, non può rispedire al mittente l’offerta che arriva da Birmingham: Young è un nuovo giocatore dei Villans.
Con il Watford si era fatto notare agli addetti ai lavori, ma è l’Aston Villa a consacrarlo al panorama calcistico britannico. Ashley gioca da esterno d’attacco, veloce e pungente, ma anche cinico e concreto: la prima annata è da sogno, con un fatturato di 8 reti e 16 (sì, avete letto bene) assist. In totale contribuisce alle fortune dei suoi con 37 reti e 59 assist in 190 presenze; è uno degli esterni più forti del campionato (CR7 permettendo), capace di prodezze simili:
Poi, il 23 giugno 2011, arriva la chiamata che definisce una carriera, che ci si sogna fin da piccoli. È lo United, è Sir Alex Ferguson: yes, yes, a thousand times yes.
L’esperienza ad Old Trafford è da montagne russe: fino al ritiro del manager più grande della storia del club, tutto fila liscio. Poi, come successo a tutta l’organizzazione targata United, il rendimento di Young si scioglie come neve al sole: oh, difficile trovare il sole in Inghilterra, ma metaforicamente non si può spiegare meglio l’impiego altalenante di Ashley con i vari Moyes, Van Gaal e Mourinho. Ma torniamo nella prima parentesi al Teatro dei Sogni.
L’inizio è da sogno: vince il suo primo trofeo (il Community Shield al debutto) e nella prima stagione colleziona 8 gol e 12 assist, avvicinandosi di molto alla sua miglior stagione in maglia Aston Villa. Tutto prosegue alla grande: arriva la prima Premier League, un ruolo fisso nell’undici titolare ed un altro Community Shield in bacheca. Poi, però, arriva quell’8 maggio 2013: Sir Alex Ferguson lascia la panchina, la sua panchina; inizia una nuova (non così fortunata) era.
Young conquisterà ancora diversi trofei (un’Europa League, il suo terzo Community Shield e le due principali coppe nazionali), ma vedrà compromettersi il suo posto da titolare con Moyes e Van Gaal in panchina. Un giorno, però, l’allenatore olandese ha l’intuizione: Ashley, che con il passare dell’età sta perdendo agilità, giocherà da terzino difensivo di spinta. È la scelta giusta, quella che lo farà persino diventare capitano dei suoi sotto la guida di José Mourinho. Non solo, punirà anche una sua ex conoscenza con questa perla da calcio piazzato:
Nei giorni scorsi, poi, la decisione di cambiare definitivamente pagina: il calcio inglese gli ha dato tanto, ma non lo considera più. Per loro non è più Young, eppure Ashley è sempre sè stesso: lo dimostrerà in nerazzurro?
This post was last modified on 23 Gennaio 2020 - 18:58