Christian Eriksen ha rilasciato una lunga e interessante intervista ai microfoni de La Gazzetta dello Sport. Ecco quanto evidenziato:
“Nella vita prima o poi devi prendere una decisione, ragionando sulle diverse opzioni. Il Real Madrid alla fine non era niente di concreto. L’Inter invece è stata vera, si è mossa in maniera molto seria. E a quel punto mi sono immaginato di giocare qui: sono venuti da me, la decisione è stata quasi naturale.
La scorsa estate feci un’intervista a un giornale danese dicendo che avrei voluto provare qualcosa di nuovo. Pensavo di partire subito, poi sono rimasto. Ma negli ultimi 6 mesi agli Spurs mi sono dovuto abituare a situazioni diverse, in Inghilterra se non firmi un nuovo contratto sei andato, sei già fuori. La gente sa che vuoi andare via, ti dicono “non fare questo, non fare quello”. E poi arriva il momento che devi andar via: è business. Eccomi qua, per una nuova sfida.
Cosa mi ha detto Mourinho? Di affittare la sua casa… E poi mi ha augurato il meglio. Conosceva i miei desideri, per questo ha costruito la squadra senza di me. Giusto così, io ero stato chiaro da subito.
Conte? Racconto una cosa: negli ultimi mesi al Tottenham mi dicevano “vai in campo e prova a fare qualcosa”. Qui non è così. Conte è stato subito molto diretto con me, mi ha detto come mi vede e quello che vuole da me in campo, con il pallone e senza. È tutto molto più organizzato. E sì, i suoi allenamenti sono duri, ma sono pronto.
Dove posso avere il pallone. Non mi importa dove, con Pochettino l’ho fatto anche in fascia destra. Ma devo stare dentro il campo, devo poter prendere la palla e creare qualcosa, andare lì davanti. Nel centrocampo di Conte si gioca a tre in mezzo ed è un po’ diverso, ma l’importante è avere la possibilità di inventare.
Responsabilità? No, perché? Negli ultimi anni al Tottenham e anche con la Danimarca sono sempre stato il giocatore chiamato a mettersi le responsabilità più grosse sulle spalle. Sono abituato. E qui all’Inter non cambia nulla per me. Voglio essere il giocatore che fa la differenza, che segna, che crea. Servirà tempo, questo è ovvio, ma nel calcio non puoi aspettare troppo per diventare decisivo.
Il mio provino col Milan? Volai da Odense a Milanello, per due giorni. Provai con la Primavera. Tornando, dentro di me pensavo “vado o non vado?”, l’Italia mi pareva troppo lontana da casa, ero legato alla famiglia. Ma poi non è mai arrivata una risposta a me, se la sono vista i due club.
Scudetto? È solo una questione di punti, siamo lì… La Juve vince da tanto tempo, noi vogliamo cambiare le cose. E io sono qui per questo. Io cercavo per me il più grande club possibile al di fuori della Premier. L’ho trovato. La carriera di un calciatore non dura abbastanza per non provare cose diverse.
Ero un malato di Football Manager. Allenavo sempre la Roma, mi piaceva Totti. Poi quando sono cresciuto mi sono concentrato solo su me stesso, su come diventare grande senza guardare gli altri. Ho letto anche tanto su Michael Laudrup, quando giocava lui ero troppo piccolo… ma è stato il giocatore danese più importante di sempre”.
This post was last modified on 5 Febbraio 2020 - 09:54