Samuel Eto’o è tornato a parlare dell’Inter del Triplete ai microfoni de La Gazzetta dello Sport. Ecco quanto rivelato:
Eto’o, dieci anni dopo: chiuda gli occhi e scelga un’immagine di quella stagione incredibile.
“Alzo la coppa verso il cielo e non ci sono solo le mie mani a tenerla: è un flash, ci vedo anche le mani di milioni di tifosi dell’inter, che la tirano su assieme a me”.
Com’è stato il suo primo contatto con l’inter?
“Fu con quello che sarebbe diventato mio fratello Marco. La storia del suo sms si conosce: un certo Materazzi mi scrive ‘Se vieni tu all’inter vinciamo tutto’, non ho quel numero in rubrica e chiedo ad Albertini: “E’ suo?”. Sì. Non mi era mai capitato nella mia carriera, quel messaggio è stato decisivo per la mia scelta. E da lì è nata una grande amicizia”.
Invece con Moratti e Mourinho?
“Mi chiamò parlando un francese perfetto e mi disse: ‘Eto’o, si fidi: lei all’inter si troverà benissimo, diventerà come casa sua’. Aveva ragione. Mourinho mi mandò la foto di una maglia nerazzurra con il numero 9 scrivendomi: ‘E’ tua: ti aspetta’
Per quanto riguarda il suo ingaggio da favola, ci fu un colpo di scena.
“Partecipare a una sfida sportiva del genere per me faceva la differenza, ma ce n’era anche tra l’offerta e la mia richiesta. Quando incontrai i dirigenti che partecipavano alla trattativa, compresi Moratti e Branca, dissi: ‘Trasformiamo questa differenza in bonus di squadra, se vinciamo la Champions nei prossimi due anni’. Dieci mesi dopo eravamo campioni d’Europa”.
Quando lasciò il Barcellona si sentì deluso da Guardiola?
“Sì, ma ma ormai mi ero lasciato tutto alle spalle e stavo già parlando con altri club, sapevo che me ne sarei andato. Quel messaggio di Materazzi fermò le altre trattative, sentivo che era l’inter la strada giusta».
Nella stagione del Triplete segnò solo 16 gol, disse che sotto i 25 neanche li contava. Eppure fu una pedina tattica fondamentale.
“Sapevo di avere la fortuna di essere dove volevo, il vero Eto’o si è visto la stagione successiva. Tatticamente ho svolto il mio dovere, quello che meritava un gruppo così, anche se da terzino ho giocato solo a Barcellona in piena emergenza. Quando fu espulso Thiago Motta, Mourinho chiamò me e Zanetti, ci spiegò come posizionarci. Non avevo il tempo di pensare, mi dissi solo: ‘Dai tutto e vedremo alla fine’. E alla fine eravamo in finale”.
Come fece Milito a conquistarsi la sua fiducia?
“Grazie a Dio la gelosia non è un sentimento che mi appartiene. Diego era in un gran momento, non sbagliava mai sotto porta ma alla fine facevamo la stessa cosa: io giocavo per la squadra, lui segnava per la squadra”.
La partita di Londra contro il Chelsea fu il suo momento più alto della stagione?
“Di quella notte ricorderò per sempre due cose. Il discorso di Mourinho prima della partita: ‘Nessuna squadra che ho allenato può battermi’. Entrammo in campo determinati, giocavamo anche per l’allenatore. Poi ricordo il mio stop prima di andare a segnare, in quel momento mi dissi: ‘Se lo fai bene, poi segni facile’. Ce l’ho ancora qui negli occhi, quel controllo”.
Sul cammino in Champions incontrò proprio il Barcellona: lo vide come un segno del destino?
“Fu esattamente quello che mi dissi: stavamo per scrivere una storia troppo bella, salire l’ultimo gradino prima della finale al Camp Nou era questo, per me: un segno”.
Ci racconta il suo discorso alla squadra prima della finale di Madrid?
“Non fu lungo, mi limitai a dire: ‘Una finale non si gioca, si vince. O moriamo in campo e portiamo la coppa a Milano, o moriamo perché a Milano non ci torniamo. Quindi vediamo di tornarci, e di portare con noi la coppa'”.
Nel 2013 si disse che dall’Anzhi sarebbe potuto tornare all’inter: fu una possibilità concreta?
“Non so se ci sia mai stata una possibilità, il mio era un desiderio. Per me sarebbe stato molto bello”.
E’ perché, come ha dichiarato, ‘non si smette mai di essere interisti’?
“Esatto, se sei interista una volta, morirai interista. Non c’è un motivo, è così e basta”.
This post was last modified on 17 Maggio 2020 - 19:48