Nel calcio di oggi i soldi hanno preso il sopravvento sul cuore. Non esistono più valori come la fedeltà e l’amore per un’unica maglia.
In poche parole: non esistono più le cosiddette bandiere.
È perciò giusto ricordare coloro che hanno improntato la propria carriera e la propria vita di una sola casacca.
Alla “walk of fame” delle bandiere del “vecchio” calcio appartiene sicuramente Javier Zanetti, ex capitano e ora vice-presidente dell’Inter.
El Tractor ha concesso un’intervista a Tuttosport, occasione per ripercorrere la sua vita da calciatore, a partire dal primo incontro con colui che sarebbe diventato un fidato amico: il pallone.
“Avevo tre anni e mi hanno regalato un pallone da cui non mi staccavo mai”– racconta Zanetti–“Nel quartiere Dock Sud ad Avellaneda, a duecento metri da casa, c’era una piazza e un campetto: è iniziato tutto lì. Abitavamo vicino allo stadio dell’Independiente, mia madre era molto tifosa: in Argentina il magazziniere avvertiva la curva dell’ingresso in campo della squadra e, quando faceva il segno, esplodeva tutto. Avevo i brividi e pensavo “chissà se anch’io proverò quell’emozione”. Ci sono riuscito”
Con il primo amore è nato anche il soprannome Pupi:
“Chiamavano così già mio fratello Sergio: in squadra c’erano tanti Javier e così sono diventato pure io Pupi, “pupazzo”. E quel soprannome mi è piaciuto subito”
5 giugno 1995, una data destinata a rimanere in eterno nella storia nerazzurra:
“Sono arrivato a Cavalese, in mezzo ai giornalisti, con un sacchetto che conteneva i miei scarpini. Mi hanno preso dal Banfield, una squadra sconosciuta, mentre Rambert arrivava dall’Independiente dove aveva vinto il campionato da capocannoniere. In più quell’anno arrivarono pure Roberto Carlos e Paul Ince. Io ero il quarto straniero e all’epoca potevano andare in campo solo in tre ma il destino ha voluto che giocassi subito ed è nato un legame molto forte. Qui mi hanno fatto sentire subito a casa”.
Nel corso della sua carriera Pupi è stato più volte chiamato da top club come il Real Madrid a cifre superiori di quelle percepite a Milano:
“Avevo parlato con Valdano, il loro allenatore: mi voleva a Madrid. Era quasi tutto fatto ma ho deciso di restare e l’ho detto a Moratti. Mi offrirono un contratto molto più importante di quello che avevo all’Inter. Io però, oltre ai soldi, consideravo la famiglia, il rapporto con i tifosi e il fatto che volessi lasciare il segno a Milano. E ho pensato: “Se vado al Real, sono uno dei tanti”. Avrei vinto sicuramente qualcosa, ma io volevo farlo qui. È stata una scelta forte, ma c’è dell’altro…”.
Zanetti, dalle chiamate di United e Barcellona all’abbraccio con Messi in Qatar
“Mi hanno “tentato” pure il Manchester United e il Barcellona.“- continua lo storico numero 4- “Non ricordo se era il 2001 o il 2002: ero con Paula, mia moglie, e trovai Ferguson in un aeroporto: mi salutò, mi chiese quando scadeva il contratto ma io ero felice a Milano, nonostante fossero anni molto complicati per l’Inter. Altrove avrei fatto una carriera importante, ma non mi sarei trovato come all’Inter. Con il Barcellona finì per lanciare Puyol. Lui me lo dice sempre. Era nelle giovanili e aveva iniziato a fare qualche presenza pure in prima squadra. Un giorno Van Gaal lo chiamò e gli disse: “Voglio prendere il terzino destro più forte al mondo che è Zanetti: se non lo prendiamo, io ti tengo con me”. E Carles mi ringrazia ogni volta che mi vede”
Di recente Javier ha avuto modo di provare una grande gioia anche dalle tribune di uno stadio: la vittoria del Mondiale della sua Argentina trascinata dal suo amico Messi. Zanetti ricorda così l’abbraccio iconico a fine partita:
“L’ho visto iniziare in nazionale e meritava questa soddisfazione. L’ho ringraziato perché ha coronato il sogno di tutti gli argentini. A Doha in quei giorni si respirava un’aria speciale: tutti volevano che Lio alzasse la Coppa“
Oltre a Messi, il capitano nerazzurro ha avuto modo di stringere amicizie con ex compagni nel corso del suo lungo percorso da calciatore. Legami che sono diventati parte integrante anche per la famiglia Zanetti:
“Con Zamorano che è il padrino di Sol e Cordoba che è padrino di “Nacho”, nonché il mio compagno di stanza all’Inter, il legame va al di là di quello che sono state le nostre carriere“
Difficile, quasi impossibile non voler bene a Pupi. Non tutti gli allenatori, però, hanno subito stretto un bel rapporto con “el Tractor”:
“Con Hodgson ho sbagliato io perché non ho capito che mi ha sostituito nella finale con lo Schalke perché voleva che Berti battesse il rigore: la lite è finita lì e anche adesso, quando ci incontriamo, ci ridiamo su. L’atteggiamento di Lippi invece non mi era piaciuto: quando le cose vanno male non bisogna cercare colpevoli, ma soluzioni. Magari, col senno di poi, l’ha fatto per andare via“
Francesco Flaùto