Gira voce che nelle migliori università d’Europa sia stato intrapreso un nuovo studio su una specie già osservata in precedenza, ma che nell’ultimo periodo ha ostentato molteplici mutazioni: si tratta dell’Inter di Simone Inzaghi.
Il Biscione ha assunto nuovamente il carattere dominante del DNA nerazzurro: la follia. L’attributo che era stato occultato nei due anni di Antonio Conte è tornato alla carica durante la gestione del tecnico piacentino. Nella stagione corrente, però, gli osservatori hanno notato variazioni ai geni interisti, aumentando l’interesse verso questo nuovo ceppo.
Il successo contro il Benfica di ieri sera non ha fatto che destare ulteriore curiosità sulla doppia natura assunta da settembre ad oggi: l’Inter di Serie A è ben diversa dallo stesso gruppo che dà spettacolo nelle Coppe.
L’una sta faticando a “sopravvivere” in quello che dovrebbe essere il proprio habitat, il campionato italiano, comportandosi come un pesce fuor d’acqua che non riesce a raggiungere l’ambiente riservato alle prime quattro della graduatoria. L’altra faccia della medaglia, invece, si sta integrando al meglio nel mare di squali della Champions League.
Nella notte di Lisbona i nerazzurri hanno indossato le vesti da top club e con una prestazione fatta di attenzione e capacità di colpire quando necessario hanno conquistato il primo round dei quarti di finale.
Tutto è ancora da decidere: il Benfica rimane un’armata più che temibile, che sta dominando in Portogallo ed è al terzo posto tra gli attacchi più prolifici della massima competizione europea. Nella sfida di ritorno, in programma al “Meazza” mercoledì prossimo, la prestazione dovrà mantenersi ai livelli di quella servita al “Da Luz”. È quindi ancora presto per fare i bilanci, ma tra gli studiosi una convinzione si sta facendo sempre più largo.
Da questa è stata formulata una tesi che potrebbe dare spiegazioni ad un fenomeno così anomalo: la formazione interista si esalta nei palcoscenici più prestigiosi. Per affermare ciò basta osservare le prestazioni di alcuni componenti della rosa di Inzaghi.
Se in campionato la retroguardia scricchiola, in Champions League il terzetto difensivo si sta dimostrando un fortino, issato da Onana in collaborazione con un trio da colonna sonora di Ennio Morricone: il duttile, il muro e l’avanguardista (Darmian, Acerbi, Bastoni).
Anche il duo Barella-Brozovic, che nelle ultime di Serie A ha stentato, è tornato agli splendori delle scorse annate. L’azzurro di nuovo polmone del gruppo, determinante anche in zona gol con inserimenti decisivi; il croato, dopo mesi complicati, ha ricoperto il suo ruolo fondamentale di playmaker e metronomo della manovra.
Le uniche note stonate della perfetta melodia nerazzura sono state suonate da Lautaro e Dzeko, ancora a secco. I due, così come l’altro soprano Lukaku, devono sbloccarsi al più presto per riacquisire il ruolo di leader che la tifoseria chiede loro.
Anche il direttore d’orchestra Inzaghi avrà bisogno di tutti per il gran finale di stagione. Fatta eccezione per il reparto offensivo, l’allenatore ex Lazio può godersi la sua squadra ritrovata, che negli ultimi due anni è tornata alla ribalta nel panorama calcistico continentale.
Di ciò Simone è il principale artefice, adempiente al principale obbligo fissato dalla dirigenza a giugno 2021: essere competitivi su tutti i fronti per una gestione sostenibile e di incassi costanti, derivati dal raggiungimento di traguardi autorevoli.
Per rispettare tutti i paletti, la banda di Inzaghi deve tornare a correre anche nell’ecosistema italiano. Solo così lo strano caso apparentemente in(ter)spiegabile di una squadra da Dr.Jekyll e Mr.Hyde potrà essere risolto, ma solo parzialmente. Nessuno potrà mai chiarire quella peculiarità incrollabile che rende l’Inter unica. Nomen omen: un nome, un destino.
This post was last modified on 13 Aprile 2023 - 09:44