Quando ci si mette di mezzo il destino c’è ben poco da fare. Ogni tentativo è vano, e tra le mani rimane soltanto un cumulo di rimpianti e amarezza. Nella notte di Istanbul la dea bendata, avvolta da un hijab, ha puntato il dito verso la navicella “guardioliana”.
Tra l’Inter e la gloria è intervenuta in scivolata la sorte, nella circostanza avversa per i nerazzurri. A gioire è l’élite del calcio, chi sguazza nella qualità sopraffina e nel denaro oltre ogni confine: a loro il merito di un cammino schiacciasassi. Dall’altro lato, però, sotto il palco della premiazione, c’è un collettivo che ha fatto emozionare fino alla commozione.
La squadra di Inzaghi ha ridotto all’osso un gap che alla vigilia appariva incolmabile. Lautaro e compagni non hanno nulla da recriminarsi, se non per un pizzico di imprecisione e qualche episodio determinante che ha portato la gara sui binari azzurri.
City-Inter, solo applausi per Inzaghi e squadra: non basta una prestazione alla pari
Quel filo sottilissimo intercorso tra il destro chirurgico di Rodri e la doppia barriera formata da Darmian e Calhanoglu ha rinvigorito una tesi tanto indefettibile quanto beffarda: per l’ennesima volta in Champions League, i dettagli hanno fatto tutta la differenza del mondo.
Alla fine ha vinto Golia, ma non è tutto oro ciò che luccica: dietro alla conquista dei Citizens c’è un argento che brilla di chiare sfumature dorate. E le lacrime che cadono sulla medaglia rendono il tutto più lampante. Nessuno toglierà quell’applauso scrosciante che dall’”Ataturk” fino a “San Siro” ha onorato un gruppo unico, talvolta imperfetto ma solido e coeso.
Ragionando dentro di sé, molti tifosi nerazzurri rimpiangeranno di aver sprecato una tale occasione, vista la rarità con cui si verifica. Tuttavia qualcuno diceva che l’importante non è quello che si prova alla fine di una corsa, ma ciò che si percepisce mentre si corre. E per l’Inter questo non deve essere un punto di arrivo, ma solo di una nuova partenza.