Dimarco ha rilasciato una lunghissima intervista dove ha ripercorso la sua carriera e ha raccontato cosa prova nel giocare nell’Inter da tifoso.
Il terzino sinistro dell’Inter, Federico Dimarco ha concesso una bella e lunga intervista al BSMT, il podcast di Gianluca Gazzoli e pubblicato su Youtube.
Le parole di Dimarco
“Soprannomi? C’è sempre stato Dima, poi Dimash nasce da quando sono tornato all’Inter. È stato mister Inzaghi a inventarlo. Come mai? Sinceramente non lo so, gli è nata così dal nulla e da lì anche un po’ per gli altri sono diventato Dimash e l’abbiamo portato avanti. E quando abbiamo vinto il campionato l’abbiamo usato. Whisky? Era ai tempi del Verona, ma è passato”.
“Quando vesti la maglia dell’Inter ci sono partite più importanti delle altre e quindi cerco sempre di dare il mio contributo con una parola in più e questo mi piace perché devo tanto a quello che ho passato nel settore giovanile, quello che mi hanno insegnato tutte le persone che ho avuto e cerco di portarmele sia fuori dal campo che quando vado in campo”.
Sul tifare Inter
“Sicuramente giocare nell’Inter da tifoso fa tantissimo piacere. Io forse vivo troppo le partite. Negli anni da quando sono tornato all’Inter, pian piano giocando partite di un certo livello ho imparato a gestire le emozioni. Prima giocare con Barcellona, Real Madrid… non era da tutti i giorni. Facendoci l’abitudine è diventata la normalità e la cosa bella è giocare quelle partite lì. La partita da brividi? L’ultimo derby l’ho sentito, era una partita che ci poteva dare tantissimo come togliere. L’esordio in Champions? Un po’ amaro, ho giocato col Real e abbiamo perso. L’inno è unico, ti da delle vibrazioni dentro che non si possono paragonare con nulla”.
“La maglia dell’Inter? È difficile guardarla da fuori. In campo cerco di essere me stesso e non cambio. Giocare per l’Inter per me è una cosa bellissima e cerco di dare il massimo. L’ho detto nel video per la festa scudetto: per me questa maglia va trattata coi guanti, lo penso davvero“.
Sugli esordi
“Io ho iniziato ad andare in prima squadra quando avevo 16 anni. C’era Mazzarri in panchina, ma c’erano le leggende del triplete come Samuel, Milito, era l’ultim anno di Zanetti. Quando sei così giovane è come una giostra. Vedere Milito che ha fatto quella doppietta in finale di Champions è stato emozionante. In quel periodo andavo solo ad allenarmi. Quando è subentrato Mancini ho iniziato ad essere convocato. Poi i due esordi in Europa League e contro l’Empoli a fine campionato. Per l’importante era esordire, è stato bello c’erano tanti ragazzi della Primavera convocati. All’epoca però c’erano ancora solo 3 cambi, eravamo in 4-5 e sono stato fortunato, però è stato bellissimo perché emozioni così si provano una volta sola. Quella sera ho fatto 4 ore di viaggio di ritorno, ho dormito ad Appiano e mi sono allenato la mattina dopo”.
Sulla voglia di smettere
“In Italia non mi voleva nessuno. Neanche in Serie B credo. Alla fine è arrivato il Parma e anche lì ho fatto 3 o 4 partite, ho fatto gol e poi basta, distacco del tendine dell’adduttore e altri 4 mesi fermi. Anche lì ho fatto veramente poco. Dopo Sion volevo smettere, mi dicevo: “a me chi me lo fa fare di soffrire così”. Poi a volte dici quello che pensi, ti guardi dentro e alla fine il mio obiettivo era solo uno: far ricredere le persone che non credevano in me e alla fine ci sono riuscito facendo il mio percorso“.
Sull’Inter di Conte
“Non credo che l’inversione c’era stata a Parma. Dopo un paio di allenamenti tornato all’Inter viene Conte e mi dice: “Fede, voglio che rimani”. Li ero felice perché quando arriva uno come lui e ti dice quelle cose rimani un po’ spiazzato. Alla fine ho fatto 6 mesi e a gennaio ho dovuto supplicarlo per andar via. Erano però arrivati altri giocatori come Ashley Young, Moses e da lì ho scelto di andare a giocare. Era bello stare all’Inter, ma non mi sentivo a mio agio, mi sentivo inadatto per il livello che mi sembrava troppo alto per me”.
Sul ritorno
“Non mi hanno mai detto “È il momento di tornare a casa”. Mi hanno solo detto di tornare per andare in ritiro. Non sapevo niente, il Verona poteva comprarmi e l’Inter aveva il controriscatto. Però da lì pian piano, esperienza dopo esperienza, cresci e diventi tutt’altro giocatore rispetto a prima. Non ero comunque pronto per giocare determinate partite. Poi quando inizi a fare quelle esperienze impari a stare nello spogliatoio con determinati giocatori, il tuo livello si alza se impari a rubare quello che c’è di positivo”.
Sugli esempi dello spogliatoio
“Un giocatore che è stato devastante e fondamentale è stato Perisic. Quell’anno lì ha fatto un anno incredibile. Poi se hai nello spogliatoio gente come Edin Dzeko che ha giocato in grandi squadre ti trasferisce l’esperienza. Poi Skriniar, Handanovic, Barella che lo conosco da quando avevo 15 anni, Bastoni, poi vabbé Lautaro. Le parole più belle? Del direttore Piero Ausilio. Mi sono guardato indietro e sentire quelle parole dal direttore mi hanno fatto bene”.
Su mister Inzaghi
“Il mister subito mi ha fatto capire che ero importante. È stata una svolta, è stato lui a dirmi che dovevo restare. Quando torni poi alcune persone vengono da te e ti dicono: “non pensavamo diventassi così” è una bella rivincita. Sono queste le cose più belle che ti danno più soddisfazioni”.
Sulla seconda stella
“Bisogna buttarsi in mezzo alla gente. Ogni tanto è giusto rompere la monotonia festeggiando insieme ai tifosi. Alla gente fa piacere vedere tutto questo. Lo stesso valeva per me quando ero piccolo… apprezzavo molto quando i calciatori venivano a festeggiare con i tifosi, insieme alla gente che li supportava”.