Doveva essere la giornata della terza vittoria consecutiva, impresa mai riuscita nella tribolata e altalenante stagione nerazzurra. Doveva essere un modo come un altro per placare finalmente la sete di vendetta accumulata nel tempo nei confronti dell’Atalanta, che non perde a San Siro dal 2010. Doveva essere un trionfo, in attesa che, poco più tardi, Napoli e Fiorentina si togliessero punti a vicenda. Non è stato, invece, nulla di tutto questo: solo un’altra occasione sprecata.
L’espressione “rimanere al palo”, in riferimento alla partita persa contro la squadra di Colantuono, travalica la sua accezione figurata, assumendo una maggiore concretezza e approdando ad un significato più fedele alla lettera. Prima ci prova il solito Palacio a raddrizzare le sorti del match: lo stesso colpo di testa a pallonetto che aveva trafitto Padelli e abbattuto il Torino, però, si infrange sul palo alla destra del portiere. Poi è la volta di Guarin. Il colombiano mette mano all’arma principale del suo repertorio e fa partire una violenta sassata dal limite dell’area, che scheggia la parte alta della traversa. Infine, è Jonathan a dare adito alle imprecazioni dei tifosi sugli spalti, increduli davanti a cotanta malasorte.
Ad ogni gol sbagliato corrisponde sempre un gol subito e, così, Bonaventura si appiglia ad una delle regole non scritte più antiche nel mondo del calcio per regalare i tre punti alla sua Atalanta, con la complicità di Handanovic e di un “misterioso centrocampista”, per dirla alla Mazzarri.
Se, per certi aspetti, è facile addebitare una sconfitta a delle semplici coincidenze sfortunate o ad un destino che rema contro in maniera manifesta, più difficile è riuscire ad ammettere che nulla avviene per caso. Lo stesso reparto difensivo che aveva ostentato sicurezza e solidità nelle uscite precedenti, si è sgretolato come neve al sole, soffrendo gli inserimenti dei centrocampisti orobici e la presenza fisica di Denis che, per rimanere in tema, colpisce l’ennesimo legno di giornata.
La concretezza, poi, rimane un problema irrisolto e il motivetto ricorrente che continua a costituire il sottofondo musicale di vittorie e sconfitte della stagione nerazzurra: oltre pali e traverse, ci pensano Icardi Guarin e Nagatomo ad accrescere il dato dei tiri verso la porta avversaria.
Nemmeno la scelta e il tempo dei cambi è da considerarsi frutto di una lettura ineccepibile dell’andamento del match. Alvarez buttato nella mischia troppo presto, Kovacic troppo tardi. A proposito del croato, difficile attribuirgli ancora una volta tutte le colpe della sconfitta, ma c’è chi riesce in questa ardua impresa. Tutt’altro che felice, infine, la mossa di sostituire Cambiasso, quid ordinatore del centrocampo, e arretrare Hernanes, così da menomare la sua capacità di incidere in fase offensiva.
Doveva essere una prova di maturità, volta ad attestare il superamento dei “retaggi del passato” e il raggiungimento dello step successivo nel percorso di crescita della squadra. Doveva essere e non è stato: in fondo sui legni della porta difesa da Consigli, insieme alle conclusioni degli attaccanti nerazzurri, si sono infrante le ultime speranze di stagione.