Associazione per delinquere finalizzata alla truffa e alla frode sportiva. Dieci parole per riportare l’orologio indietro di oltre 15 anni. La Procura di Forlì ha aperto a inizio settembre un fascicolo a carico d’ignoti con questa ipotesi di reato in relazione all’esclusione subita da Marco Pantani il 5 giugno 1999 a Madonna di Campiglio, durante il Giro d’Italia. In poco più di un mese le inchieste sul Pirata si sono raddoppiate: a fine luglio c’è stata la riapertura del caso sulla morte (s’indaga per omicidio volontario) da parte della Procura di Rimini. Campiglio e Rimini. Rimini e Campiglio. Per anni la famiglia del Pirata, i tantissimi tifosi del campione rimpianto e molti sportivi hanno ripetuto come un mantra il nome delle due località: “È stato prima fregato e poi fatto fuori”. Adesso gli interrogativi, i dubbi, i tanti sospetti saranno chiariti (si spera) dagli inquirenti. A Forlì l’indagine è condivisa dal Procuratore capo Carlo Sottani (da sostituto a Perugia si è occupato di vicende scottanti come le inchieste sulle Grandi opere e il G8) e dal pm Lucia Spirito. Già affidata la delega per gli interrogatori: il pool è coordinato dal maresciallo Diana dei carabinieri. Da loro bocche cucite, ma una cosa è filtrata da Forlì: ci sono tutti gli elementi per andare fino a fondo a uno dei punti più controversi della vita di Pantani. L’inizio della fine, per molti. Compresa mamma Tonina: “Senza Campiglio non ci sarebbe stato mai Rimini”. Difficile sostenere il contrario. Ma perché Forlì ha deciso d’indagare 15 anni dopo? E perché l’ipotesi parte con una inquietante associazione per delinquere? Domande che hanno una risposta e rimandano a un cognome che ha segnato la cronaca nera della storia italiana: Renato Vallanzasca.
Da settembre a oggi, gli inquirenti hanno già ascoltato diverse persone informate sui fatti. Quali fatti? Quelli legati all’esclusione dal Giro di Pantani: una vicenda che secondo l’accusa potrebbe avere dei mandanti pericolosi (clan della camorra) e degli esecutori sul posto. Di certo, chi è sfilato in Procura ha raccontato di un clima tesissimo durante la corsa rosa, con continue minacce anonime che arrivavano a chi stava intorno al Pirata. Minacce chiare: non doveva concludere la gara. E si arriva all’episodio di Cesenatico. Il Giro d’Italia arriva a casa del Pirata il 25 maggio 1999. La mattina dopo, i giornalisti sono allertati: “Pantani è fuori, ha saltato il controllo del sangue”. Non sarà così, il capitano della Mercatone Uno passa quel test, ma i commissari dell’Uci lo vorrebbero lo stesso squalificare per un ritardo di circa 20’ sull’ora prevista per il prelievo. Alla fine tutto si risolve, ma l’ispettore dell’Unione ciclistica internazionale, Antonio Coccioni, lo ammonisce pubblicamente: “La prossima volta non te la caverai”. Ecco, per Forlì l’ipotesi di reato inizia quel giorno. Nel senso che la criminalità organizzata aveva già deciso che Pantani non doveva giungere a Milano. Certo, è tutto da dimostrare che le parole di Coccioni siano legate a questa volontà. Possono essere solo una coincidenza, ma chi indaga ha le idee chiare: la storia è legata alle scommesse clandestine ed è stata già narrata da Vallanzasca.
Nel 1999 in Italia le scommesse sul ciclismo non esistono. Meglio: sono clandestine, le gestisce la criminalità organizzata. Quando la camorra si rende conto di aver accettato troppe puntate su Pantani vincente, è troppo tardi. Lui si dimostra il più forte. Si parla di decine di miliardi di lire, il banco rischia di saltare. C’è un solo modo per evitare il flop, trasformandolo in un affare d’oro: non far trionfare Pantani. Ma il Pirata straccia gli avversari e la sfortuna sembra aver cambiato direzione. Sembra. In realtà per gli inquirenti la camorra pianifica per tempo la cacciata di Pantani. E qui arriviamo a Vallanzasca: il bel Renè nel 1999 si trova nel carcere di Opera (Milano) per scontare uno dei 4 ergastoli rimediati per le scorribande negli Anni Settanta. È avvicinato da un altro detenuto che non conosce. Dice di essere un affiliato a un importante clan della camorra e gli suggerisce di puntare tutti i risparmi sui rivali di Pantani. Vallanzasca strabuzza gli occhi: “Sai chi sono?”. Risposta disarmante: “Certo, non mi permetterei mai di darti una storta. Non so come, ma il pelatino non finisce la gara”. Il Giro è iniziato da poco: nelle tappe successive Pantani domina. Vallanzasca è scettico, ma l’altro insiste: “Fidati”. E il 5 giugno il detenuto dalla dritta giusta va all’incasso: “Hai sentito? Il pelatino è stato fatto fuori, squalificato”. Vallanzasca ha raccontato questo episodio nella sua autobiografia, uscita a fine 1999. E nei mesi successivi è stato sentito da Giardina, p.m. di Trento, titolare di un fascicolo dopo Campiglio. Fascicolo che all’inizio vedeva Pantani parte lesa (gli avvocati ipotizzavano lo scambio di provette), ma poi fu lui a finire indagato per frode sportiva. L’accusa finirà nel nulla, come quelle delle altre sei Procure che lo misero nel mirino per lo stesso motivo, inseguendo un reato che non esisteva (fu introdotto nel 2000). Vallanzasca non rispose a Giardina: troppo paura, il clan era pronto a vendicarsi.
Adesso le cose potrebbero cambiare: nei prossimi giorni il procuratore Sottani andrà a Milano per interrogare Vallanzasca una seconda volta, ma questa volta gli investigatori hanno già un’idea sull’identità di quel detenuto e quindi del clan a cui era affiliato. Le deduzioni sono state fatte ricorrendo ai registri penitenziari del tempo e grazie ad alcune acquisizioni di filmati tv recenti, dove Vallanzasca a telecamere spente racconta dei particolari inediti. Non solo, tra le persone sentite anche giornalisti, gente vicina a Pantani e soprattutto medici che hanno spiegato come era possibile e semplice alterare l’ematocrito di quel 5 giugno (trovato a 51,9). Il sangue sarebbe stato deplasmato e la firma di questa operazione si troverebbe nel valore delle piastrine, piombate a livelli di un malato. Piastrine che invece erano normali (come l’ematocrito: sempre a 48) la sera del 4 giugno, quando il ciclista si fece l’esame del sangue nella sua stanza d’albergo per verificare se era nella norma (50 il valore consentito dall’Uci), e il 5 pomeriggio, quando si fermò a Imola per fare un test prima di arrivare a casa e iniziare la sua lenta discesa verso Rimini. Questa ipotesi ipotizza un complice in grado di operare sulla provetta (che non era sigillata). Ecco perché saranno interrogati anche i dottori che hanno effettuato il prelievo al Giro e l’ispettore Coccioni. L’inchiesta è all’inizio. Il procuratore Sottani ha informato da settimane il collega Giovagnoli che indaga sulla morte di Pantani, segno che nulla si può escludere: neppure una correlazione diretta tra i due fatti. Campiglio e Rimini sono distanti 414 chilometri e meno di 5 anni. Da ieri viaggiano fianco a fianco nel nome di Marco.
FONTE: La Gazzetta dello Sport, Francesco Ceniti