GdS – Silvinho: “Mancini è un vincente. I giocatori devono imparare ad essere sempre al massimo”

Nella Gazzetta dello Sport odierna è riportata l’intervista all’allenatore in seconda nerazzurro Sylvinho, intervenuto sulle tattiche, sullo spogliatoio e sul suo compagno di “avventura” Mancini.

Come si insegna a vincere?
“Non si insegna a essere vincenti. Vincenti si nasce e basta. Messi e Neymar lo erano già a 15/16 anni”.

E all’Inter com’è la situazione?
“Qui c’è grande qualità umana e tecnica. Bisogna lavorare grado per grado e far capire ai giocatori che devono imparare a lavorare per stare sempre al massimo livello. Ovvero? Pensare che si gioca in Champions: quando giochi lì. un errore è gol. Ecco. questa squadra deve avere la mentalità votata a questo concetto: zero margini di errore. Quanto ci vorrà per tornare in Champions? Un anno, massimo due..”.

Lei completa Mancio e parla con i giocatori.
“Certo, io più di Roberto. Mi sento ancora giocatore, so come ragionano: un calciatore non ti inganna. Ascolto i problemi, cerco di risolverli. Solo quando la situazione è da.. allarme dico “Ehi Roby, qui sta a te”.. Ma nel resto io non potrò mai sostituirmi a lui”.

La prima offerta di fargli da vice quando c’è stata?
“Roberto mi voleva vice già nel 2010 quando gli dissi che avrei smesso di giocare, al City. Rifiutai, ma solo perchè avevo bisogno di tornare in Brasile visto che ero in Europa dal ’99. Da allora siamo sempre rimasti in contatto. A novembre, quando è tornato all’Inter, mi ha telefonato. Mi voleva subito. Ero al Corinthians, non potevo mollare la squadra a 4 partite dalla fine del campionato. Sono arrivato dopo, ma sono qui, anche se il Timao avesse pensato a me come primo allenatore”.

Lei è stato allenato da Wenger, Rijkaard, Guardiola e Mancio. Qual è il tecnico perfetto prendendo le qualità di ognuno?
“Dovrebbe essere un padre come Rijkaard; avere la cura maniacale nel preparare le partite di Guardiola, uno che stava ore a studiare gli avversari e le contromosse; l’intelligenza gestionale di Wenger, l’intensità dinamica di Mancini. Cosa dovrebbe avere di me? Io credo nel comportamento del giocatore e amo intensità e qualità. Anche Roberto è tifoso del bel calcio, è un vincente, ama l’organizzazione non solo tattica, l’intensità. E ogni tanto diventa matto se vede qualcosa che non migliora”.

Quindi non è vero che è troppo buono?
“S’incazza, eccome. Non dico quando, ma ha avuto tre sfoghi non male…Sa essere duro, s’arrabbia annusando l’aria”.

E sa scrivere bene i pizzini.
“Una genialata. Non avevo mai visto nessuno prima di lui usarli. Sennò come fai a parlare con il terzino dall’altra parte”.

Il pre-gara è momento sacro. Quali parole si dicono ai giocatori nello spogliatoio?
“Non esiste parola giusta. Io volevo essere lasciato tranquillo mentre Deco, al Barcellona, si avvicinava e mi chiedeva di tutto, mi chiedeva la famiglia, la quotidianità. Io gli dicevo “Ehi, fra 3′ si va in campo!” e lui continuava, e un quarto d’ora dopo dava spettacolo davanti a 100mila persone. Ho vissuto anche Edmundo, sbraitava, urlava, era il suo modo di sfogare la tensione. Poi in campo segnava sempre. Il modo perfetto non esiste quindi”.

Il modo perfetto di vivere Milano è (anche) vincere il derby
“E io l’ho già battuto: giocando con il Celta al Meazza, e poi l’ho eliminato in semifinale di Champions nel 2006 con il Barcellona. Ero seduto in tribuna? Beh, anche la prossima sarò seduto..”.

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