Amarezza portami via. Da piccolo ho deciso che avrei fatto il giornalista. Studi consoni, un po’ di gavetta iniziale in qualche sito, tra una sessione e l’altra di esami da dare. La convinzione di dover inquadrare storie, eventi e personaggi con obiettività e senza lasciarsi andare a quella passione da tifoso che, bando alle ciance, caratterizza qualsiasi appassionato di calcio. Crescendo, ci si accorge però come ognuno abbia la propria idea sul modo di fare giornalismo, in che maniera interpretarlo e, purtroppo, sfruttarlo. E tra queste disparate maniere sta venendo fuori la moda del giornalismo caratterizzato da tifo estremo, fazioso. Ciò che doveva (e deve) essere evitato, è diventato per alcuni la regola, la strada maestra da seguire.
In Italia ci sono 3 grandi quotidiani sportivi e tutti sono contraddistinti da un’evidente territorialità, in alcuni casi più moderata, in altri molto più accentuata. Nulla di sbagliato, in fin con dei conti bisogna rispettare i gusti e il tifo del proprio target di lettori. Peccato che stia sempre più emergendo negli anni una tendenza esasperata ad assecondare ciò che il tifoso vorrebbe. E non si parla di tifoso assennato ed equilibrato, ma di quello becero che intravede nello sport e nei risultati della propria squadra l’occasione per scaricare la propria frustrazione e il proprio istinto animale. Con buona pace della competizione sportiva e del valore sociale dello sport, evidenziato da apposite carte deontologiche della professione.
Ma scendiamo nel dettaglio, senza dilungarci troppo nel generale. Negli ultimi due giorni il quotidiano torinese Tuttosport si è superato: la qualificazione della Juventus in finale di Coppa Italia, avvenuta per il rotto della cuffia e dopo una partita di grande sofferenza, ha galvanizzato e addirittura eccitato la suddetta redazione, lanciatasi, tra ieri e oggi, in due prime pagine che con l’obiettività giornalistica hanno molto poco da spartire: “È più bello così” e “Godopoli”. Nemmeno il più accanito dei Drughi avrebbe saputo far meglio. Oltre all’esaltazione della Juventus, per carità, legittima per quanto sta facendo ora e ha fatto negli ultimi anni, si accompagna una totale denigrazione dell’Inter, avversario storico della Vecchia Signora. L’andamento della partita diviene un dettaglio secondario, l’evento sportivo, che dovrebbe essere la base di partenza di ogni cronaca e riflessione, viene accantonato e ritenuto elemento trascurabile. Si sente il bisogno di alimentare vecchie e focose polemiche, di prendere parte nettamente, mangiare in un piatto e sputare negli altri. Altri che possono essere l’Inter, o il Bayern Monaco, i “crucchi” di una settimana fa, di quel Guardiola “che ha condizionato palesemente l’operato degli arbitri attraverso una pressione continua nei 90 minuti“. Per carità, sarà stato anche vero, ma allora Bonucci, che dopo ogni fischio sgradito va a scambiare una chiacchierata con l’arbitro, cosa fa? E siamo chiari: sono atteggiamenti che si vedono ovunque, la nostra non è un’accusa al difensore. Vogliamo evidenziare la palese adozione di pesi e misure opposte.
Perché bisogna rendere il calcio peggiore di quello che è? Perché bisogna spingersi con titoli provocanti e urlati, finalizzati solo a sollecitare le reazioni più animalesche e faziose possibili? Per fortuna che tanti tifosi juventini iniziano a dissociarsi e a riconoscere una certa esagerazione. La stampa, come accennato prima, dovrebbe stemperare determinati comportamenti e promuovere il valore sociale dello sport. Non ci importa che tutti i giocatori migliori del mondo vadano alla Juventus durante il mercato, siamo disposti ad accettare il fatto che meglio di Pogba e Dybala non ci sia nessuno, ma ci limitiamo a chiedere rispetto, imprescindibile in qualunque risultato sportivo.