1/11/16, l’F.C. Internazionale Milano comunica ufficialmente l’esonero di Frank de Boer, cambiando così l’ottavo allenatore negli ultimi sei anni. Qualche considerazione sparsa. Innanzitutto sulla figura di mister de Boer: una figura meravigliosamente integra, umile e per bene, in un calcio di arroganti e mascalzoni. Un uomo dedito al lavoro, mai una parola fuori posto, l’impegno ad imparare ed esprimersi in una lingua non sua in così poco tempo, e per chi? Per quattro buffoni che poi lo schernivano per il suo italiano imperfetto. Un elogio alla serietà di un allenatore che ha messo l’Inter di fronte a tutto, a se stesso in primis, mettendoci la faccia, e ai singoli giocatori, passando per un allenatore “troppo rigido” o arrogante.
Eppure mai come oggi ci sarebbe la necessità di ricordare al mondo del calcio, quello italiano in particolare, che i calciatori sono dei professionisti, ed in quanto tali vengono pagati dalle società per svolgere le proprie mansioni, nel rispetto di gerarchie societarie (in cui è bene ricordare che l’allenatore è sopra i calciatori) il cui ricordo è sempre più sbiadito. Ecco il secondo obiettivo delle mie riflessioni: la società, al cui vertice credo ci sia mr. Zhang, e dico credo perché capire qualcosa della struttura dirigenziale dell’odierna Inter è definibile quantomeno difficile. Le figure di spicco della società sono per l’appunto Zhang, cinese (con annessi familiari), Erick Thohir, indonesiano, il leggendario Bolingbroke, inglese, la cui funzione non è mai stata chiarita del tutto, Javier Zanetti (e qui, fidatevi, mi piange il cuore dover dir male di lui), argentino dalla personalità tanto spiccata in campo, quanto fiacca nei CdA, e il povero Piero Ausilio, ultimo baluardo dell’italianità in società e, permettetemi di dubitare della coincidenza, unico dirigente a metterci sempre la faccia, unico dirigente che dà l’idea sempre e comunque di farsi il cosiddetto “mazzo tanto”, e di conseguenza unico a portare anche dei risultati evidenti nel suo campo.
Ne manca all’appello uno: Kia Joorabchian. Perché? Perché non è un tesserato dell’Inter. Eppure ci sono le sue impronte su questo fallimento e sulla gestione dal lato indonesiano. Il presupposto è dunque quello di una società molto ricca, molto spaccata, molto poco italiana, molto poco interista. Il risultato? Una squadra di eccellenti giocatori, molto spaccata, con molta poca intesa, molto poco dedita al sacrificio in nome dell’Inter. Ed in mezzo a tutto questo marasma chi è che fino all’ultimo si è battuto con lo stemma sul petto, non solo sulla maglia? Frank de Boer. Un allenatore con delle idee che vanno ben oltre quelle calcistiche (che comunque sono, a mio modesto avviso, meravigliose), idee quali il rispetto, l’etica del lavoro, l’amore del gioco e del club. E chi sarà a pagare per tutte queste incompetenze di dirigenti e calciatori disinteressati? Ovviamente lui, Frank de Boer.
Un allenatore chiamato a ferragosto (da una società così ben organizzata da cambiare tecnico a una settimana dall’inizio del campionato) per rivoluzionare una squadra interamente costruita da un predecessore con un’idea di calcio (ammesso che Mancini avesse un’idea) diametralmente opposta alla sua, pur senza avere una minima conoscenza del calcio italiano, della lingua o della cultura del posto (e badate bene che è quest’ultima a risultare fatale).
Un uomo chiamato dunque a sconvolgere un sistema in poche settimane, per giunta senza il minimo appoggio della società. Anzi: la goccia che ha fatto traboccare il vaso? L’esclusione di Gabigol. Perché non importa che un giocatore di 20 anni, brasiliano, totalmente ignaro di cosa sia l’Inter o il calcio italiano, possa non rendere in campo; non importa che buttarlo nella mischia nel momento più difficile della squadra sarebbe un Quaresma bis; ciò che importa l’ho visto con i miei occhi, a San Siro, Inter-Juventus: magliette numero 96 ovunque. Ed è la stessa idea che adesso porta Thohir e Suning a spingere per Leonardo, Bielsa o Villas Boas contro la razionale idea ausilio-zanettiana di un traghettatore italiano che dia stabilità. Il messaggio è chiaro Frank, dollars>football.
Chiudo con un sentito ed amaro ringraziamento a coach de Boer, che si è dimostrato più interista in 80 giorni di tanti altri in tanti anni. Le auguro che il futuro le dia ragione. Ah, e complimenti per essersi mostrato per l’ennesima volta un gran signore nel rifiutare il milione e mezzo di buonuscita, rescindendo il contratto. Perché al messaggio degli investitori, Frank ha risposto: football>dollars.
D.C.