Ci sono tanti modi per entrare nella storia, nei cuori, nell’immaginario collettivo. Ma, specie nel cannibalistico mondo del calcio moderno, è più complicato se si raggiungono a fatica i 170 centimetri e di mestiere si fa il difensore cattivo e rognoso. Ma, se si ha il cuore allenato alle alte quote, la statura può anche andare a quel paese. Questo è SpazioInter’s Stories. Questo è Ivan Ramiro Cordoba Sepulveda.
UN PICCOLO GRANDE CAMPIONE
L’11 agosto del 1976, a Rionegro, nella Colombia dominata da Pablo Escobar, vede la luce un folletto terribile, dal cuore grande, il carattere indomito e due cojones grandi così. Il piccolo Ivan è innamorato da subito dal pallone, il suo amico in ogni istante libero. Con il passare degli anni i centimetri rimangono pochini e tutti, pensando ad un sudamericano compatto e veloce, potrebbero azzardare per Cordoba un futuro da trequartista funambolico. Tuttavia, il Dio del pallone, nella sua imperscrutabile onniscenza, non ha dotato il bimbo di doti tecniche eccelse, perlomeno non sufficienti a fare di lui un grande talento offensivo.
Cordoba ha però altre doti che, a futuro perenne rimpianto dei tanti che lo rifiutarono, lo rendono speciale. Una velocità fulmicotonica ed uno stacco aereo da fare invidia ad un pallavolista professionista. Quando salta sembra fluttuare nella melassa, quasi non dovesse atterrare mai. Un grillo imprendibile, ma molto bravo invece a prendere gli altri. Con i piedi quasi arriva dove gli attaccanti colpiscono di testa e riesce quasi sempre a rendere la vita impossibile al suo bersaglio, arrivando ovunque in anticipo rispetto a tutti. Anche a costo di farsi male, anche a costo di rischiare grosso.
Ivan rimane in patria fino a 22 anni, per poi migrare in Argentina, al San Lorenzo, dove colleziona 8 reti in due stagioni, facendo già intravedere la pericolosità micidiale anche nell’area avversaria. Ma parliamo di cose più vicine a noi, al nostro cuore: parliamo di quando il guerriero approdò in nerazzurro.
UN UOMO ENORME, ORGOGLIOSAMENTE INTERISTA
Nel 2000 Lippi, allora allenatore nerazzurro, era alla ricerca di un difensore centrale. Moratti, da sempre innamorato dei sudamericani, fortunatamente fece di testa sua e portò a Milano Cordoba, un pilastro fondamentale per gli anni a venire, sia nella buona che nella cattiva sorte.
Ivan vivrà 12 anni intensissimi con la casacca nerazzurra, una maglia che si tatua nell’anima del colombiano, nel midollo. Come ha dichiarato poi in seguito: “I tifosi sanno che io per l’Inter ho dato e darei ancora la vita, perché io non ho lavorato per l’Inter io ho vissuto per quella società”. Parole che dicono molto sul giocatore e, soprattutto, sull’uomo.
Incarna come nessun altro cosa significhi essere interista, l’integrità, l’onesta, l’onore. Solo un mostro sacro come Zanetti gli preclude la possibilità di indossare la fascia di capitano nerazzurro. Con due spalle larghissime Cordoba porta infiniti fardelli, vive 12 anni travagliati senza mai una parola fuori posto. 12 anni di alti e bassi, in cui spesso le critiche non sono mancate. Un amore che ha vissuto il suo culmine con la gioia del triplete e che ha avuto fine, se così si può dire, il 5 maggio 2012, 10 anni esatti dopo il suo giorno peggiore in maglia nerazzurra. Con noi, da vero interista, ha sofferto, gioito, pianto, riso, è caduto e si è rialzato. Sempre, orgogliosamente a testa alta, da uomo enorme. Un gigante racchiuso in un corpo tascabile. Il nostro cavaliere senza paura. Il numero 2 più leggendario che abbia calcato il Meazza con la nostra maglia. Interista per sempre, fino alla fine. Quanti, oggi, dovrebbero prendere esempio da un campione simile…
Fonte immagine in evidenza: Profilo Twitter Cordoba