Giocatore, allenatore ed ora specialista nel resuscitare le carriere dei propri atleti. È successo ancora: Conte ha rigenerato Antonio Candreva. Ma infondo, chi è questo esterno destro redivivo?
UN VETERANO IN MEZZO AI GRANDI
La sua storia ha dell’atipico, fin da subito. Avete presente la classica rincorsa al top club partendo dal calcio di provincia? Ecco, Antonio, nei primi anni della sua carriera, fa esattamente l’opposto, seppur trovando, in un secondo momento, la grande occasione. Nasce a Roma, la capitale in cui o emergi o affondi tra la folla: lui è nel mezzo, poichè inizia a tirare i primi calci ai palloni del campo sportivo della storica Cisco Roma, dove sono cresciuti due giocatori mediocri come Luca Toni e Francesco Totti.
Rimane con i biancorossi fino a 16 anni, quando arriva la chiamata dall’Umbria: lo vuole la Ternana, ammaliata dalla sua grinta agonistica. Nel suo primo giorno di lavoro, il neo allenatore dei rossoverdi Claudio Tobia lo butta nella mischia, anche solo per un minuto, nella sfida all’Empoli: è l’esordio in Serie B, l’esordio tra i professionisti. L’inizio dell’avventura provinciale fino al ritorno sull’Olimpo. La seconda presenza in campionato arriva nella vittoria casalinga al’ultima giornata contro il Catanzaro; per lui, originario di Falconara Albanese, paesino di 1500 anime nel cosentino, è un Derby.
L’anno successivo, a 18 anni, gioca 30 partite su 44: Antonio è un veterano, peccato che abbia appena superato la soglia che divide i minorenni dai maggiorenni; con la 29 sulle spalle agisce principalmente da trequartista, ancora non ha imparato a cavalcare la fascia destra. Nonostante la retrocessione in Lega Pro, il romano attira l’interesse dell’Udinese, che lo preleva dalle Fere per 500 mila euro. Da lì, inizia la risalita.
TRA IL BIANCONERO E L’AMARANTO
Con l’Udinese arrivano i primi minuti in Serie A e la prima avversaria, destino vuole, è l’Inter. Il primo anno friulano di Antonio, però, è abbastanza deludente: viene relegato in Primavera, dov’è ovviamente di un altro livello rispetto ai coetanei: segna un gol a partita con la Beretti dell’Udinese, di cui una doppietta al Genoa. Antonio, però, vuole giocare ed alla prima occasione fa le valigie: lo vuole il Livorno, ovviamente in prestito.
In Toscana si rende protagonista della risalita degli amaranto in Serie A grazie, soprattutto, al cambio di ruolo: ora la fascia destra è sua e non ha intenzione di lasciarla. Il prestito viene inaspettatamente prolungato e Antonio gioca le prime vere partite in Serie A, cercando in tutti i modi di ottenere una salvezza tranquilla per i toscani. Dal 23 gennaio 2010, però, la salvezza non è più un suo problema: arriva la grande chiamata, quella della Torino bianconera, che lo prende in prestito dall’Udinese. Con la Juve, però, il sodalizio dura poco, pochissimo.
Candreva è un nomade, non solo su quella fascia che cavalca dal primo all’ultimo minuto; in neanche due anni gioca con tre maglie diverse: l’Udinese, ormai proprietaria del cartellino del romano da due anni senza mai puntarci realmente, il Parma ed il Cesena.
RITORNO A CASA: È TEMPO DI VOLARE
In Emilia-Romagna vive un anno e mezzo mediocre, senza brillare: con il Parma arrivano 3 gol ed 1 assist in 33 presenze, mentre con i romagnoli bianconeri lo score è di 3 gol e 4 assist in 21 partite. Antonio, però, si sta stancando del calcio di provincia: pensa di meritarsela una chance.
Alza gli occhi al cielo: c’è un’aquila in ricognizione. Cerca un ala destra da portare a casa sua, all’Olimpico: l’anno precedente mancava un giocatore con velocità, esuberanza e tiro dalla distanza. Si ferma al Centro Sportivo Alberto Rognoni, dove Antonio si allena tutti i giorni: corre eh, ma non ha mai provato a volare. Olimpia ci mette poco a portarlo a casa, nella sua Roma, sulla sponda biancoceleste del Tevere: Candreva torna ai piani alti della Serie A, con la numero 87 della Lazio.
Con la Lazio vive momenti incredibili: i due meravigliosi gol contro il Palermo, la punizione nel suo primo Derby da titolare, il capolavoro di destro contro il Milan e, soprattutto, quel cross al 71′ per Lulic, che vale la Coppa Italia alzata in faccia ai nemici giallorossi.
È un’impresa. Questo è il mio primo trofeo e alzarlo qui dopo questa partita con la nostra gente non potrò scordarlo. I nostri tifosi hanno fatto l’inferno per novanta minuti.
Il Candreva della Lazio è un animale da combattimento: lotta su ogni pallone, gioca sul velluto ma è sempre aggressivo, nell’accezione calcistica del termine, ovviamente. 45 gol e 44 assist in 192 partite con la maglia della squadra che l’ha finalmente fatto conoscere al calcio italiano: c’è voluto un po’, ma ora tutti conoscono Antonio.
INFERNO E PARADISO AL MEAZZA
Il 3 agosto 2016, per i tifosi biancocelesti sa di triste déjà-vu: per la Lazio, Roberto Mancini è stato indimenticabile, ma a Roma non gli hanno mai perdonato il matrimonio con l’Inter di Moratti. Be’, il Mancio li aveva fregati un’altra volta: per la sua Inter voleva un esterno affidabile, quindi perchè non portare al nord Candreva? In tutto ciò, vi è un piccolissimo problema: cinque giorni dopo il suo arrivo a Milano, Candreva trova un nuovo allenatore, Frank de Boer. La prima annata in nerazzurro (sotto la guida dell’olandese, di Vecchi e di Pioli) mostra un Candreva luciferiano: prima va in Paradiso con i due gol nei Derby stagionali (non avete ancora visto la bordata nel Derby d’andata? Cosa state aspettando?) e poi tocca le fiamme dell’Inferno, con l’eliminazione dalla Coppa Italia a causa del vecchio amore laziale. Tutto sommato, però, è un ottimo inizio: 8 gol ed 11 assist in 45 partite, mica male per il “provincialotto”.
Dal secondo anno in nerazzurro, però, con l’arrivo di Luciano Spalletti in panchina, succede qualcosa di atipico, una novità nella carriera dell’87 romano: Candreva non segna più. È il Mr.Hyde dell’Antonio goleador alla Lazio e di quello visto nel suo primo anno all’Inter. Fa assist, molti assist, ma non segna. Il digiuno continua, sembra non voler finire, ma perlomeno i nerazzurri riconquistano l’Europa: con la vittoria all’Olimpico, contro la sua Lazio, l’Inter torna in Champions League dopo più di 2000 giorni.
La stagione 18/19 inizia nel peggiore dei modi: Spalletti gli preferisce Politano ed Antonio scalda la panca mentre l’Inter perde a Sassuolo e pareggia in casa con il Torino. Poi, il miracolo: arriva il primo gol dopo un anno e mezzo, il provvisorio 0-2 in casa del Bologna. Prende il pallone da un raccattapalle e lo mette sotto la maglia da trasferta: dopo Bianca, è in arrivo Raul, il secondogenito di casa Candreva. La stagione, però, non ottiene una svolta inaspettata: oltre ai due gol ed all’assist contro il Benevento in Coppa Italia, è tutto fumo e niente arrosto; troppi cross sbagliati, troppe prestazioni insufficienti. Il 13 maggio tocca il punto più basso della sua carriera: entra in campo contro il Chievo e viene letteralmente sommerso di fischi. Bisogna fare qualcosa, la carriera di AC87 sta prendendo una piega storta, anzi, stortissima.
IL GUARITORE DAL SALENTO
Com’è strana la vita, eh? Sei grato ad una persona e cinque anni dopo ti si ripresenta per svoltarti un’altra volta la carriera: no, nessuna guarigione miracolosa sullo stile di duemila anni fa. Le mani magiche sono quelle del nuovo condottiero nerazzurro, il “traditore” Antonio Conte, che sta portando aria nuova tra i campi di Appiano Gentile. Dicevamo? Ah, si: è la seconda volta che Antonio deve ringraziare l’altro Antonio. La prima è stata sempre a Milano, ma senza il nero ad accompagnare l’azzurro: Candreva è titolare in Italia-Croazia e segna il suo primo gol in Nazionale, sotto la gestione Conte.
Oggi, tre anni dopo quell’Europeo in cui ha dominato la fascia destra contro avversari del calibro di Jordi Alba e Vertonghen, Candreva è rinato anche in nerazzurro: dopo un buon precampionato, alla prima contro il Lecce è partita la bomba. Sotto il sette da 35 metri: candidato al gol dell’anno alla prima giornata. Conte ha fatto il miracolo, ora tocca all’altro Antonio riconfermarsi. L’obiettivo: trasformare i fischi in applausi; stringiamo le dita, ma la strada è quella giusta.