Barella: “Perdere a Barcellona non ci è andato giù. La Juve ha più esperienza, ma sarà sfida alla pari”

Nicolò Barella si racconta in una lunga intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport, tra sogni avverati, Inter e passato.

Barella: “Vogliamo colmare il gap con la Juve”

“Barcellona ci è rimasta dentro”: inizia in questo modo l’intervista che Barella ha rilasciato alla Gazzetta dello Sport.

Nicolò Barella, cosa è questa? Una minaccia?
“Perdere non ci è andato giù. Ma più del risultato, più dell’arbitraggio, quella partita ha fatto vedere chi siamo. Per 65-70′ abbiamo messo sotto il Barcellona, la squadra top al mondo. Certo, la vittoria avrebbe amplificato tutto. Però abbiamo dimostrato personalità, sarà importante per il nostro futuro”.

Non è che mollate la Champions per il campionato?
“Macché. È un girone difficile, ma siamo l’Inter: non so dove, ma andremo a prenderci i punti necessari per passare”.

Cosa vi ha detto Conte dopo la partita?
“Non era il caso di parlare molto. Ci siamo guardati e ci siamo detti: ‘Ne abbiamo un’altra importante, testa alla prossima'”.

Eh, la prossima è la Juve.
“Fortissima. Ma come lo siamo noi”.

È una partita alla pari?
“Sì. La Juve ha in più solo l’esperienza, il fatto di conoscersi da più tempo come gruppo. Ma il mister ci ha chiesto da subito cose ben delineate e noi le stiamo mettendo in pratica, ecco perché dico che siamo alla pari. La Juve ha vinto il campionato con 21 punti di vantaggio lo scorso anno: vogliamo colmare il gap, vedremo alla fine se ci saremo riusciti”.

Iuliano-Ronaldo, lei aveva solo un anno. Gliel’hanno raccontato, quell’episodio?
“Eh, diciamo che è stato un caso strano. Non aggiungo altro”.

Vero che Sarri poteva essere il suo allenatore?
“Sì, il Chelsea mi aveva cercato a gennaio, la trattativa era concreta. Al Cagliari dissi: non è un momento facile per la squadra, resto fino a fine stagione. Poi prenderò una decisione”.

Quante telefonate le ha fatto Conte?
“Guardi, il mister sa essere convincente subito: non più di una…”.

Come si difende su Ronaldo?
“Bisogna chiederlo a Godin, che talvolta è riuscito a limitarlo… Meno male che non devo marcarlo io. Oh, poi se capita mica mi tiro indietro”.

Dove deve migliorare di più l’Inter?
“Creiamo tanto, concretizziamo meno. È il prossimo step”.

E a livello personale?
“Ho fatto più di 100 partite in A, solo 7 gol: devo alzare la media”.

In cosa è davvero differente Conte?
“Ha un’attitudine diversa, un modo di parlarti che ti trasmette qualcosa di nuovo. Per lui mi farei ammazzare, vale per tutti i suoi calciatori. E questo fa la differenza. Ha visto come corrono le squadre di Conte? Eh, non è solo perché sono preparate bene. È frutto di quel che ti mette in testa lui”.

Com’è subire un tunnel da Messi?
“Ho vissuto poco Ronaldo il Fenomeno… per me Messi è il più forte di tutti i tempi. Davanti a un tunnel rosico sempre, diciamo che subirlo da Messi dispiace un po’ meno”.

Pensiero comune: Barella prende troppi cartellini.
“È un’etichetta che ormai mi porto pure in campo: altri fanno i miei stessi interventi e non prendono l’ammonizione”.

Stankovic è il suo modello. In cosa si riconosce nel serbo?
“Siamo simili nell’atteggiamento, come lui non mi tiro mai indietro. Lui però aveva un tiro e una capacità di far gol che gli invidio”.

Se le dico Matteoli…
“Una delle persone a cui devo di più. Quando giocavo una bella partita, lui mi sussurrava: “Oh, guarda che non hai fatto niente””.

Chi è il centrocampista più forte al mondo?
“Sensi…no scherzo. Se al 100%, Modric”.

Si dice che la forza dell’Inter sia negli italiani: è d’accordo?
“Credo che il club abbia scelto questa linea per creare prima possibile un gruppo. Poi all’Inter devono giocare quelli forti, a prescindere dalla nazionalità”.

Lei e Sensi asse portante della Nazionale: se lo sente addosso questo ruolo?
“Sicuro. Mancini ci sta dando molta fiducia, io e Stefano fino a un anno e mezzo fa non avevamo visto neppure in cartolina certi palcoscenici…ci sta lasciando sbagliare, questo è fondamentale. Noi due, Jorginho, Verratti, ma pure Pellegrini, Zaniolo, ora Castrovilli: sì, sta venendo fuori un gran centrocampo”.

Più difficile vincere lo scudetto o l’Europeo?
“Difficili sì, impossibili no. Si può fare doppietta?”.

Mancini e Conte: differenze e punti di contatto.
“Sono diversi nei metodi di allenamento e nel modo di mettere in campo la squadra. Simili nella fiducia che trasmettono ai calciatori e nell’attenzione agli avversari durante la preparazione del match: con entrambi, quando vai in campo sai già cosa fare”.

Qual è l’ultima bottiglia di vino che ha comprato?
“(ride…) Sono un collezionista, è vero, è nato tutto per caso. Ora ho una cantina con 350 vini”.

Se vince lo scudetto, quale bottiglia stappa?
“Svuoto la cantina”.

Ha un’ora libera: passeggiata, film o Playstation?
“La Playstation neppure ce l’ho, ho due figlie, non ho neanche la scusa… adoro passeggiare in famiglia”.

Cosa le dà fastidio del calcio?
“Le falsità. Poi il fantacalcio: non il gioco in sé, ma c’è gente che mi insulta perché mi dice di aver perso la partita per colpa mia… come se io fossi contento di una mia brutta prestazione. Ecco, vorrei tanto mandarli a quel paese. E poi non sopporto le etichette. Come il fatto di essere un cattivo”.

Però lei è un po’ dottor Jekyll e mister Hyde, no?
“Vero: fuori dal campo sono umile e disponibile, pure troppo…dentro sarei capace di litigare anche con mia figlia, mi scatta qualcosa”.

Calcio e razzismo: perché non se ne riesce a fare a meno?
“È triste, ho dei compagni che soffrono per questo. Credo che campagne come quella dell’Inter o lo striscione dell’ Everton (no al razzismo con la faccia di Kean, ndr) siano molto importanti. Poi bisogna anche vedere i contesti: non è detto che se una curva fa buu a un calciatore sia perché sono tutti razzisti” .

In Italia si fa abbastanza?
“È arrivato il momento di fare di più”.

Barella ascolti: lei perché gioca a calcio?
“Per passione. Sì, già lo so che ci sarà quello che dirà “eh, ma tu guadagni soldi con il pallone”. Sa cosa risponderei? Che se non avessi questa passione, non giocherei in questo modo”.

Solo nome e cognome: Gigi Riva.
“Sono riuscito a conoscerlo tardi, a 18 anni. È stato strano chiacchierare con lui. Eravamo a un evento della sua scuola calcio, pieno di bambini…tutti mi guardavano e dicevano “c’è Barella, c’è Barella”. E io facevo lo stesso con Gigi Riva, avrei voluto spiegare ai bambini che quello da osservare era lui, non io. Riva mi disse “complimenti ragazzo, stai facendo benissimo”. E chi lo dimentica”.

Ce l’ha un sogno?
Vorrei essere ricordato come un atleta che ha portato in alto il nome della Sardegna e nel mio caso di Cagliari. Come è successo ad Aru, Datome, Zola, Matteoli”.

Possiamo svelarla la storia del foglietto?
“Ne ho uno, anni fa scrissi lì tutti i miei obiettivi. Il primo era arrivare in A col Cagliari: ci sono riuscito. Poi c’era anche quello di vestire la maglia dell’Inter: fatto”.

Quanti ne mancano?
“Eh, tanti… Vincere qualcosa è tra i prossimi, sicuro. Così posso svuotare la cantina e fare felice mia moglie”.

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