Alla base di tante vittorie si sa che ci vogliono i campioni e i fuoriclasse. L’Inter non solo ce li aveva in campo, ma anche in panchina: José Mourinho.
LA CHIAVE DEL TRIPLETE: IL GRUPPO CREATO DA MOURINHO
Il triplete fu il coronamento di un sogno che qualsiasi tifoso nerazzurro aspettava da anni. Proprio oggi, il 22 maggio di dieci anni fa, il capitano Zanetti alzava una coppa che nessuno si sarebbe mai aspettato ad inizio anno. La ciliegina sulla torta di una stagione piena di trofei e ricca di emozioni per i colori nerazzurri.
Furono tanti i protagonisti di quella stagione ed è sprecato menzionare soltanto alcuni di loro, ma il vero artefice fu principalmente uno solo: Josè Mourinho. L’abilità del tecnico di Setùbal nel riuscire a creare un gruppo vincente fu la chiave di tutto. L’impronta data dal mister fu fondamentale e la si vide in ogni partita. Una squadra che lottava unita, con giocatori disposti a sacrificarsi per il bene della squadra. Una macchina creata dallo special one con un solo fine: il bene della squadra.
La capacità del tecnico fu quella di saper entrare nella testa dei singoli giocatori, andando a lavorare anche sulla parte psicologica dell’individuo. Mourinho sapeva dove andare a toccare un calciatore, per poterlo stimolare e fargli dare di più sempre per un solo scopo, il gruppo. Nessuno doveva prevalere sull’altro e tutti si dovevano aiutare. Da questo segreto nacquero imprese come quelle del Camp Nou, fondamentale per arrivare in finale di Champions League.
I messaggi dello special one andavano sempre verso una sola direzione: il sacrificio. Senza quest’ultimo non ci sarebbe stato nessun triplete e nessun trofeo. L’esempio lampante è stato l’essere riuscito a convincere senza troppi problemi un campione come Eto’o a fare il terzino. Per molti potrebbe sembrare facile, ma andare a chiedere un gesto simile a un fuoriclasse che l’anno prima aveva vinto tutto è da fuori di testa. Proprio da questi passi passarono vittorie importanti, utili al fine di regalare gioie ai tifosi nerazzurri.
La gestione del gruppo da parte di Mourinho fu paragonabile a quella di un padre di famiglia, capace di scherzare con i propri figli ma anche di rimproverarli davanti a tutti quando c’era da farlo. Per i suoi calciatori avrebbe dato l’anima, difendendoli da qualsiasi attacco della stampa, e in cambio ricevette sangue e sudore ogni singola partita. Per lo special one tutti erano importanti e ognuno aveva il suo ruolo. Perfino un giocatore come Materazzi, che sapeva che avrebbe giocato poco, riuscì a scendere in campo sempre con le motivazioni al massimo.
Come tutte le cose belle, prima o poi finiscono e quel 22 maggio fu anche l’ultimo giorno sulla panchina dell’Inter per Mourinho. Le lacrime di Matrix furono il simbolo di un popolo nerazzurro che salutava il suo condottiero.