Ha iniziato ad allenare a livello professionistico da neanche un anno (per l’esattezza dal 26 marzo, quando subentrò a Claudio Ranieri) ma possiamo dire che Andrea Stramaccioni è già riuscito ad imporsi prepotentemente sul panorama calcistico italiano, sia per il suo modo di fare (che ricorda vagamente quello di Mourinho), sia per la sua abilità nel rilanciare la compagine nerazzurra dopo il declino post-triplete.
In un’intervista rilasciata al Guerin Sportivo, il tecnico interista ha ripercorso la sua ascesa, dagli esordi nei campi di provincia fino alla panchina dell’Inter: “L’idea di diventare allenatore nasce nel tempo – spiega Strama – Dopo l’esperienza col Bologna fermatasi per il guaio al ginocchio, al quale ho reagito emotivamente malissimo, dopo due o tre anni, tramite un’amicizia di mia madre, sono andato all’Az Sport, una società di Monte Sacro. Ho iniziato con gli Allievi vincendo due volte il campionato, poi sono andato alla Romulea, dove vincemmo due scudetti. Avevo 28 anni, dopo un mese mi affidarono i Giovanissimi ’92 poi gli Allievi ’91. Intanto continuavo la pratica presso uno studio legale. Quando mi ha chiamato l’Inter per la Primavera, però, l’ho lasciato e sono andato a Milano con mia moglie“.
Il tecnico nerazzurro spiega poi quali siano, secondo lui, le caratteristiche fondamentali che deve possedere un allenatore: “L’allenatore è colui che ha la responsabilità di guidare una squadra, per questo deve avere forte personalità, intesa come capacità di avere un certo impatto sugli altri, come carisma e come leadership. Avere l’abilità di saper comunicare in maniera efficacee avere una discreta sensibilità per comprendere gli altri. Ovviamente insieme alla competenza e la padronanza del mestiere”.
Ed infine un paio di battute anche sulla sua filosofia di gioco e sulle difficoltà trovate durante questo periodo: “La mia filosofia di gioco è basata sull’idea di un calcio propositivo. Far sì che i ragazzi in campo esprimano collettività e collaborazione e siano coinvolti nel gioco superando i limiti dell’individualità. Sicuramente il passaggio dalla Primavera alla prima squadra è un salto molto grande, in cui variano le componenti di comunicazione e subentra il concetto di risultato in modo determinante. Senza trascurare la presenza di due elementi come giornali e media che monitorano e giudicano costantemente dall’esterno, e dei tifosi. Tutte queste differenze moltiplichiamole per 100, se la prima squadra poi si chiama Inter e tu subentri dopo quattro grandi allenatori che per un motivo o un altro non sono rimasti alla guida della squadra”.