«Mi mancherà la sua saggezza. Mi mancherà il suo dovere per la passione. Passione civile e sportiva. Mi mancherà lui, semplicemente». Sono le 9 di ieri sera, Massimo Moratti riceve la notizia della morte di Riccardo Garrone.
Il presidente dell’Inter interrompe la cena, fruga nei ricordi, trova «i sorrisi e le parole di un amico». Subito no, non trova le parole, «perché succede, funziona così quando ti lascia una persona con la quale hai camminato tanto, un bravo compagno di viaggio. Così il ricordo diventa tristezza. È un dolore, capite? Un dolore vero, forte, profondo».
Lo capisci dal tono, dalla gentilezza sofferta, dalle parole che si spezzano, dagli occhi che danzano. «Pensate che ci accomunasse la nostra professione, l’essere presidenti e petrolieri? Beh, vi sbagliate, ci univa altro, lui come me era un presidente tifoso».
Moratti, chi era per lei Riccardo Garrone?
«Un amico che aveva i miei stessi problemi».
Quali?
«Investire, e molto, per far vincere la squadra che amava. È un rischio, non coinvolge solo te stesso, ma senti che devi farlo. E lui, come me, aveva iniziato questa avventura per dovere. Ne avevamo parlato, aveva delle perplessità, quelle che in un uomo senza il suo coraggio, senza la sua determinazione, si sarebbero trasformate in paure. E invece si trasformarono in una grande sfida».
E quali doveri?
«Il dovere di impedire che la squadra della sua città, la squadra amata da lui e dalla sua famiglia, venisse cancellata dalla storia del calcio, dal cuore di Genova. Io avevo sentito quel richiamo, il senso del dovere, l’appartenenza familiare, qualche anno prima. Così avevo seguito la storia di mio padre e della sua Inter. E c’è un’immagine che porterò sempre nel mio cuore, anche per ricordare come è stata, e resterà, speciale la Sampdoria della famiglia Garrone».
Mostra anche a noi questa immagine?
«È quello del mio amico Riccardo, seduto nello stadio di Genova, sigaro in bocca, cappellaccio in testa. Mi soffermo su di lui solo un attimo, lo abbraccio, poi sposto lo sguardo sulla famiglia che gli sta vicino. Eccolo Riccardo allo stadio, circondato dai suoi figli e dai suoi nipoti. Beh, io lo ricorderò sempre così e spero che tanti facciano altrettanto».
Presidenti-petrolieri, contro mai?
«Avevamo due raffinerie, ovviamente lavoravamo sugli stessi mercati, anche in concorrenza, ma mai contro. C’è sempre stato spazio per tutti, basta saper cacciare via l’avidità. Riccardo non è mai stato avido e io spero anche, ma dovranno essere altri a giudicarmi».
Presidenti-tifosi, contro mai? In verità Garrone appena portò la squadra in serie A, giugno 2003, tirò qualche bella bordata ad alcuni colleghi. Se la prese pure con lei…
(sorride, ndr) «Lo ricordo, mi diede del pazzo. Beh, forse un pizzico di ragione ce l’aveva. Gli amici si criticano, possono anche litigare, ma poi riflettono sui consigli che ricevono. Andò così, anche per noi. E ora, dopo qualche anno, le cose sono più chiare per tutti: il calcio delle spese folli è stato sconfitto, i soldi rischiavano di uccidere la vera passione. Per me il calcio è passione. Lo era anche per Riccardo e lo sarà per suo figlio Edoardo e per tutta la famiglia».
Vi sentivate spesso?
«Ci siamo sentiti anche qualche settimana fa, non ricordo neppure il motivo, ma probabilmente non c’era nessun motivo preciso, con un amico funziona così. Mi piaceva parlare con lui, ci univa la passione per il calcio, ma non solo quella, parlavamo di tutto, dalla cultura alla politica, alle vicende delle nostre città, Genova e Milano. Mi piaceva la capacità di ascoltare, per poi dare risposte secche, senza fronzoli, senza sconti. E poi aveva una straordinaria reattività. Ascoltava con attenzione, rifletteva e se c’era necessità meglio non aspettare e andare dritti al problema. Era saggio ed è rimasto giovane, fino all’ultimo giorno».
Garrone detestava le chiacchiere del ‘mercato’; pur con alcune eccezioni non aveva una straordinaria passione per la categoria dei procuratori. Lei invece vive sempre da protagonista le vicende del calciomercato. Almeno in questo vi distinguevate?
«Ma non scherziamo, io la penso esattamente come la pensava Riccardo. Sapete che vi dico? Sì, ci ridevamo anche sopra. Magari vedevamo cose che nel nostro settore lavorativo, quello petrolifero, ci avrebbero fatto infuriare. E che invece nel calcio venivano mitigate dalla nostra passione per Inter e Sampdoria».
Cosa lascia Garrone al calcio italiano?
«La passione, che è il privilegio raro. La passione che nasce solo da un animo forte e sensibile. Era un meraviglioso e lucido visionario».
E alla politica del calcio italiano cosa resterà?
«La stessa cosa e ora mi spiego. Nelle ultime vicende della Lega Calcio, la Sampdoria e l’Inter stanno ancora una volta dalla stessa parte. Non è una battaglia, non sono giochi di potere. È solo la volontà di ribadire dei princìpi nei quali noi crediamo: il calcio è onestà e passione. Edoardo porterà avanti questa sfida e io sarò sempre al suo fianco. Gli amici non si abbandonano mai».
Fonte: Il Secolo XIX
(intervista di Giampiero Timossi)