C’erano una volta le biografie dei calciatori. Pagine e pagine a cui bambini, ragazzi, adulti (insomma, tutti i tifosi) dedicavano il proprio tempo per scoprire fino a fondo le origini e gli aneddoti della vita del proprio campione.
Ce ne sono state di ogni tipo: da quella un po’ più “da duro” di Materazzi a quella sempre scherzosa di Cassano. Ma mai nessuno si era spinto oltre come Zlatan Ibrahimovic. Da una settimana ormai, ogni giorno appaiono su giornali o siti internet spezzoni della sua autobiografia: “Io Ibra”. Più che una biografia, dalle indiscrezioni di queste giorni, è sembrato che Zlatan volesse scrivere un best seller.
Lo sappiamo tutti che Ibra un po’ sbruffone lo è sempre stato. Basti pensare alla frase detta il primo giorno in cui entrò nello spogliatoio dell’Ajax: “Io sono Zlatan e voi chi cazzo siete?”, oppure a quella ostinata convinzione di essere il giocatore più forte del mondo che, a suo dire, lo aveva portato anche a litigare con Guardiola perchè gli preferiva un certo Leo Messi.
Zlatan è sempre voluto apparire come il leader delle squadre in cui ha giocato e, soprattutto, come il principale artefice dei successi di queste. Riprova di ciò, è stata un’altra anticipazione del suo libro, apparsa ieri in rete e oggi sui giornali. Il periodo a cui si fa riferimento è quello del suo arrivo all’Inter nell’estate del 2006, dopo la fuga dal ritiro di Pinzolo della Juventus, causa retrocessione in serie B (bel comportamento da leader). Zlatan, riferendosi alla rosa nerazzurra, sosteneva che: “Era divisa in gruppetti: argentini di qua, brasiliani di là. Li odiai fin da subito“.
Una situazione che Ibra decise di far sua, un grande test per un leader come lui: “La vera sfida era rompere quei cazzo di gruppetti. Li odiai fin dal primo giorno, e non dipendeva soltanto dal fatto che io venivo da Rosengard, dove ci si mischiava senza problemi: turchi, somali, jugoslavi, arabi. Era anche perchè l’avevo visto chiaramente, sia alla Juventus sia all’Ajax: tutte le squadre rendono molto meglio quando fra i giocatori c’è coesione. All’Inter era l’opposto. Andavo in giro e dicevo: cos’è questa storia? Perchè state tutti lì seduti tra di voi come dei bambini? Mi rivolsi a Moratti parlando chiaro: ‘Dobbiamo rompere questi dannati clan. Non possiamo vincere se lo spogliatoio non è unito‘ “.
Parole da vero leader. Adesso però sorgono spontanei alcuni dubbi sul ruolo che lo svedese si è autoassegnato. Un leader nei momenti di difficoltà dovrebbe caricarsi la squadra sulle spalle e assumersi delle responsabilità, anche non proprie, mentre erano proprio quei gruppetti tanto odiati a difendere Ibra ogniqualvolta la stampa gli dava addosso dopo un fallimento europeo. Un leader dovrebbe avere un rapporto speciale con i propri tifosi, come lo hanno Zanetti e Stankovic e come lo ha avuto Mourinho, e non insultarli con gesti “da ghetto” dopo un gol solo perché fino a qualche minuto prima una prestazione mediocre aveva legittimato mugugni e qualche fischio da parte di chi paga un biglietto (o l’abbonamento). Infine, un leader dovrebbe essere stimolato a portare la propria squadra alla vittoria, per dimostrare a tutti di essere tale e non farsi venire il mal di pancia perché si considera il migliore e attorno a sé vede solo perdenti.
Sappiamo tutti com’è andata a finire. I gruppetti tanto odiati e sottovalutati si sono uniti sotto la guida del Comandante Mou e hanno giocato un bello scherzetto a questo strano leader. Purtroppo non è bastato a togliergli dalla testa la convinzione di essere il più forte al mondo. Contento lui…