Tra i protagonisti, un po’ a sorpresa, di questo inizio di stagione dell’Inter, c’è anche Federico Dimarco. Lui, cresciuto nelle giovanili del club nerazzurro, ha dovuto girare diverse squadre per crescere e maturare. Dopo l’ultima annata a Verona, terminata con 48 presenze e 5 goal, l’Inter ha deciso di concedere un’altra possibilità al difensore classe 1997.
Dimarco fin qui non ha deluso le aspettative, scalando le gerarchie e conquistando la fiducia di Inzaghi. E non solo, perché le sue prestazioni hanno portato anche i tifosi dalla sua parte, tifosi che hanno quindi deciso di perdonarlo dopo quell’esultanza ai tempi del Parma.
Il difensore si è raccontato in una lunga intervista ai microfoni di DAZN e Cronache di Spogliatoio. A partire proprio dal legame con l’Inter e Milano, città nella quale è nato:
“Il primo gol con la maglia dell’Inter ha significato tanto, per i tanti sacrifici fatti da quand’ero piccolo: ho rinunciato a tante cose e quando è arrivato il gol è stata un’emozione incredibile. Son cresciuto qua, sempre stato a Milano tranne quando sono andato fuori a giocare. La mia famiglia è qua. Sono veramente felice di essere tornato a casa. Poi sono interista da quando son nato: andavo in curva e per me è veramente un onore giocare per questa maglia. Il ricordo più bello che ho legato all’Inter? Il derby vinto 4-2, quando ha segnato Maicon da fuori area”.
Un goal strepitoso, quello segnato su punizione a Marassi. E i calci piazzati sono proprio la sua specialità:
“Molto spesso mi fermo a calciare le punizioni a fine allenamento, ma non solo da quest’anno, ma da quando ero a Empoli. Mi fermavo sempre a fine allenamento, calciavo 10 punizioni perché volevo sempre migliorare e ancora adesso voglio farlo. Quella contro la Sampdoria? Quasi dentro l’area: potevo tirar solo lì, perché se la tiravo bassa il portiere l’avrebbe parata. L’ho tirata lì e ho fatto goal. Se è troppo attaccata al palo del portiere, come a Genova, la calcio lì; se è 5 metri più indietro la calcio sempre sopra e quasi mai sul palo del portiere. La mia posizione preferita per calciare le punizioni è il centro-destra. Tre passi di rincorsa. Quando vado sulla palla cerco di rimanere baso col corpo per dare la frustata forte. Il portiere non lo guardo, ma la palla e dove calciare“.
Nato come terzino, ora fa della duttilità un suo grande pregio, merito anche di Mancini e Juric:
“La prima partita che ho fatto con Mancini, contro il Milan, eravamo in tournée in Cina, mi ha schierato mezzala: non sapevo dove andare. Dall’anno scorso, invece, da quando ho imparato bene a fare il terzo, e fare il terzo con Juric è come fare la mezzala, mi sono sempre divertito moltissimo”.
Chi nasce terzino sinistro in questa generazione può avere solo un giocatore al quale ispirarsi:
“Mi piacciono i giocatori tecnici, mi piace il talento: ci sono tanti terzini forti che mi piacciono e che hanno talento. Il miglior Marcelo del Real Madrid per me era una roba inarrivabile. Io cerco già prima di guardare dove va l’attaccante, quando arrivo al cross ho già deciso dove calciare. Mi piace tirare”.
Tra i giocatori più forti con i quali ha giocato invece, Dimarco non ha dubbi:
“Giampaolo Pazzini a Verona: di testa era forte. Quest’anno ci sono Edin Dzeko, Lautaro Martinez, Joaquin Correa e Alexis Sanchez che sono attaccanti forti. A Edin e Lauti cerco di darla più alta, mentre al Niño e Tucu cerco di darla rasoterra, che se la stoppano e calciano.”
Infine, il suo rapporto con il tifo nerazzurro:
“Mi sento molto coccolato, anche quando l’anno scorso ero a Verona mi scrivevano molti tifosi dell’Inter e volevano che tornassi. E questo mi fa molto piacere“.