Si dimostra sempre sottile la linea di confine tra la gloria di ciò che poteva essere e lo smacco di ciò che non è stato.
Lo sa bene l’Inter che, nell’atto ultimo di una stagione che ha rasentato la perfezione, ha versato lacrime di disillusione di fronte all’orgoglio illeso del pubblico di San Siro, allegoria lampante della vicinanza incondizionata dei tifosi alla squadra.
Oggi sembra lontano anni luce il successo targato Antonio Conte, generale perfetto per una milizia, allora, ancora in cerca di identità e stabilità, ma che ha trovato nel successore del tecnico salentino il caposaldo ideale per confermarsi grande tra le grandi.
Difficile è vincere, ancor di più è comprovarlo nel tempo, resistendo ai suoi cambiamenti e ad un mercato sobrio, fin troppo freddo rispetto alle temperature roventi della scorsa estate. Sì, perché in pochi, forse in pochissimi, all’alba di una nuova stagione, avrebbero predetto un rebus scudetto ancora tutto da sciogliere all’ultima di campionato, in un blasonato testa a testa che poco spazio ha lasciato ai pronostici. Sì, perché in pochi, forse in pochissimi, avrebbero scommesso su un gruppo squadra di fatto debilitato dalle partenze di Lukaku e Hakimi.
Eppure l’Inter, oggi costretta a leccarsi ferite sanguinanti, c’è sempre stata, occupando i piani alti della classifica, dimostrando di avere tutte le carte in regola per cucirsi, ancora, il tricolore sul petto, quello stesso tricolore che con merito festeggiano dall’altra sponda di Milano, ma che non deve deprezzare l’incredibile cavalcata nerazzurra.
2 trofei aggiunti al palmarès e una qualificazione ai quarti di Champions League mancata contro un mostro sacro come il Liverpool, per giunta battuto in casa, non possono, e non devono, fare solo da cornice ai rimpianti delle sconfitte contro Milan e Bologna, al galeotto intervallo di tempo dei 7 punti in 7 partite.
Nonostante un epilogo che lacera il cuore, infatti, in zona Porta Nuova e in tutte le sedi dislocate del tifo nerazzurro, va celebrata la straordinarietà di una squadra che ha riscoperto un gioco moderno e di qualità, e che non sfigurerebbe neanche sui prestigiosi palcoscenici europei.
È questo il motivo per cui ce ne vuole, di coraggio, per mettere Inzaghi sul banco degli imputati, dopo la dimostrazione di una gestione della rosa discutibile solo nell’impiego delle seconde linee a cui, probabilmente, sarebbe stato giusto concedere più minutaggio.
Forse oggi nessuno sorride, e il sole della Milano nerazzurra tarda a sorgere, ma con premesse come queste l’imperativo resta soltanto uno: RIPARTIRE. Come prima, più di prima.
Gabriella Ricci