Marotta: “I calciatori oggi sono solo di passaggio in Italia, Lukaku e Hakimi sono un esempio”

Oggi il quotidiano Il Mattino festeggia 130 anni di storia con una serie di dibattiti in diretta. Tra gli ospiti dell’evento, organizzato per l’occasione presso il Palazzo Reale di Napoli, anche l’AD dell’Inter Giuseppe Marotta, oltre al presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis e quello della Salernitana, Danilo Iervolino.

Marotta Il Mattino

È stato un bel campionato, con tre squadre a giocarsi allo scudetto fino alla fine, però non andremo ai Mondiali e abbiamo una sola finalista nelle coppe europee. Siamo arrivati al punto di doverci arrendere a ciò?

“Sarò molto diretto: dico che avendo 45 anni di esperienza, c’è da constatare come nel 2000 eravamo l’El Dorado del calcio in termini di partite e ingaggi di giocatori, basti vedere Maradona. Oggi il nostro invece è un campionato di transizione, con i giocatori che arrivano e vogliono andare via, come è successo a me con Lukaku e Hakimi. Nel 2000 eravamo i primi per fatturato, ma improvvisamente abbiamo perso posizioni e bisogna chiedersi perché. Non abbiamo capito il cambiamento di modello, siamo rimasti fermi al mecenatismo, con i grandi presidenti che accontentavano i tifosi staccando assegni. Gli inglesi invece iniziavano a valorizzare le loro imprese e hanno capito che il calcio andava in quella direzione, verso i media. Dopo 20 anni hanno raccolto i frutti. Perché? Dal modello del mecenatismo ci siamo trovati impreparati sul business. Qui siamo mancati, la lungimiranza dei manager e dei presidenti è venuta meno. Poi la qualità del prodotto è scesa: se non si vince in campo non è solo per i soldi. Il problema è che l’Italia non è un paese in cui lo sport è visto come modello sociale, non c’è un ministero dello sport e non lo si insegna nelle scuole. Poi non si va alla ricerca del talento, mancano innovazione e istruzione, non ci sono più gli allenatori di una volta”.

Il tifoso comprende la sostenibilità? “Se chiedessimo a dieci tifosi se preferirebbero una società che rischia il default ma vince il campionato o una sana che arriva quinta, undici su dieci sceglierebbero la prima opzione. Oggi la sostenibilità è d’obbligo, anche per la licenza UEFA. Oggi abbiamo un costo del lavoro che ha dei limiti che sfiorano il 60-70% del fatturato. Bisogna ridurre i costi ancor prima di valorizzare le risorse. Le due cose vanno di pari passo, ma in tutto questo bisogna salvaguardare la competitività”.

L’Inter viene venduta? “Io mi occupo della gestione e di portare avanti un progetto iniziato quattro anni fa a prescindere da questo. Il fine è la ricerca della sostenibilità, senza dimenticare che l’Inter ha l’obiettivo di arrivare nelle prime quattro del campionato per avere i milioni di euro che ti garantisce la Champions League”.

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