Era una Penisola felice baciata dal sole, percorsa dalla maestosità di Alpi e Appennini e bagnata su tre lati da un mare che rende ancor più variegata e suggestiva l’intera cornice paesaggistica. Famosa per cibo, cultura, storia e non ultimo il calcio, pronta com’era ad accogliere tra le sue innumerevoli bellezze i migliori giocatori e allenatori in circolazione, esportando in tutto il mondo la competitività e lo spettacolo offerto dalla Serie A.
Le sue componenti geografiche e culturali ovviamente non sono mutate, ma quella penisola felice che affermava in modo fermo e deciso la propria leadership quando si trattava di correre e dare calci ad un pallone, si è trasformata per magia (o meglio, stregoneria) in una landa desolata. La crisi economica e finanziaria che attraversa in lungo e in largo l’Italia connessa con gli scandali calcistici sempre presenti nel menù del giorno e con una incapacità di evolversi e tenere il passo del resto dell’Europa, (vedi lo stato di arretratezza imperversante in molti dei nostri stadi) ha declassato il nostro Paese, visitato dal Messi o Cristiano Ronaldo di turno solo per trascorrere delle memorabili vacanze estive. Tutti questi fattori condizionano in modo evidente le operazioni di mercato delle nostre società e le tasche dei presidenti, sempre meno disposti ai grandi investimenti e obbligati ad estenuanti riflessioni e a illustri cessioni prima di poter definire un acquisto in ogni sua componente.
Una epocale inversione di rotta che dispiega i suo effetti anche sulle attuali trattative condotte, in orbita Inter, da Branca e Ausilio. Sono lontani anni luce i tempi in cui Moratti aveva la possibilità di regalare ai sognanti tifosi nerazzurri i numeri di Ronaldo (50 miliardi di lire) o i gol di Vieri (90 miliardi), i tackle di Samuel (16 milioni di euro) o il carisma di Crespo (36 milioni).
La realtà attuale denota un atteggiamento tendente alla parsimonia più che allo sperpero e le trattative in corso lo dimostrano. Per Isla la distanza da limare tra i nerazzurri e la Juventus è di un solo milione e basta una simile divergenza a rallentare l’affare; per Nainngolan le difficoltà dimostrate nel raggiungere la cifra richiesta da Cellino hanno riportato in corsa una concorrenza agguerrita; per Paulinho, Lucas o Lavezzi, non è bastato un “pedinamento” asfissiante che ha dovuto cedere il passo ad un più deciso Tottenham e ai petrodollari del Paris Saint-Germain.
Il tutto reso più complicato dalla mancanza di Coppe e proprio dalla presenza ingombrante degli sceicchi, che sanno come ovviare alla mancanza di prestigio dei propri club offrendo contratti fuor da ogni logica. Sono ancora più distanti nel tempo i giorni in cui era più facile promettere a Ibrahimovic un ingaggio da 12 milioni di euro o a Mourinho uno stipendio annuale che vantava soltanto due milioncini in meno del gigante svedese. La musica è cambiata, come quando in radio si passa da un rock adrenalinico ad una stazione di musica leggera.
Sull’altare dei sacrificati tanti campioni che, dopo aver portato l’Inter a guardare dall’alto in basso il resto del “Vecchio Continente” e del mondo, se ne sono andati in punta di piedi per rendere meno “antipatici” i numeri presenti nel già gravoso bilancio nerazzurro.
Uno scenario che non lascia alcuna via di fuga e che porta necessariamente un fervente tifoso interista come Moratti a riflettete sulla cessione di quote, e forse della società, a indonesiani, cinesi o uzbechi qualsiasi che portino con sé una capiente valigetta piena di “verdoni”. Un pensiero dettato e reso più intenso non tanto da interessi personali, quanto invece dall’amore sconfinato verso questa squadra che per lo stesso presidente è “Més que un club” come direbbero in quel di Barcellona.
Sperando, intanto, che in quella valigetta oltre i soldi, siano presenti tanta passione e la ferrea volontà di impegnarsi nella costruzione di un futuro meno incerto.