L’ex difensore nerazzurro e della Nazionale italiana è tornato a parlare della sua esperienza con i colori nerazzurri.
I giocatori vanno e vengono, soprattutto nel calcio di oggi, quando alla prima offerta più elevata, i calciatori decidono di lasciare la propria squadra e provare una nuova esperienza, senza magari prima parlarne con qualcuno di fiducia. Anni fa il calcio non funzionava così: ci si spostava dalla squadra di appartenenza perché magari si è era pochi sfruttati nelle partite, o semplicemente non ci si trovava bene con l’ambiente.
È quello che è successo un pò a Fabio Cannavaro, ex difensore dell’Inter e della Nazionale Italiana: arrivato a Milano nel 2002, dopo sole due stagioni con la maglia nerazzurra, l’ex difensore lascia la capitale lombarda e approda in quella piemontese, nella sponda bianconera della città.
Cannavaro critico nei confronti dell’Inter: le parole
L’ex Campione del Mondo e Pallone d’Oro, intervistato da Sportweek, ha voluto parlare della sua esperienza all’Inter, quando già era un giocatore cresciuto sotto tutti i punti di vista del calcio. Cannavaro ha così commentato il suo passaggio alla Juve:
Mi spiace che molti ancora credano che abbia fatto apposta a giocare male per andare alla Juve. All’Inter sanno quanto ho sofferto fisicamente. Rispetto a oggi era un’Inter diversa, una specie di porto di mare in cui ogni cosa che si diceva nello spogliatoio si sapeva fuori due minuti dopo. Troppi dirigenti parlavano. Le cose funzionano in una società come la Juve, dove uno solo comanda.
Cannavaro poi, ex difensore di Napoli, Parma, Inter, Juventus e Real Madrid, ha speso belle parole sul gruppo che c’era in quegli anni e ha lanciato una frecciatina alla società nerazzurra di quel tempo:
In quell’Inter c’era un bel gruppo: Materazzi, Cruz, Zanetti, Di Biagio. Mi è dispiaciuto andare via perché finalmente stavo bene. Per il club ero finito e prendevo troppo. Fui trattato come uno scarto e lì scattò la molla, arrivai alla Juve: ho fatto 4 anni senza infortuni, vincendo sul campo due scudetti poi revocati, ma che sento miei.