Il bisogno fondamentale dell’esistenza non è il bisogno di piacere, non è il bisogno di potere, non è neppure quello di dare un senso all’esistenza, ma è il bisogno di amare e di essere amati.
Un percorso che richiede sacrificio, impegno, coscienza, passione. Amare è un’arte, come ben spiegato, tra gli altri, da Ovidio e Fromm, che genera emozioni, disincanto, purezza. Un’arte che ha arricchito secoli di letteratura consegnando all’immaginario collettivo suadenti e struggenti intrecci amorosi: Tristano e Isotta, Paolo e Francesca, Romeo e Giulietta, Abelardo ed Eloisa. Storie di ardente passione in cui convivono ragione e religione, fede e fiducia. Scritti di una sacralità eterna sui cui vogliamo innestare un parallelo, magari irriverente, al limite della contrapposizione tra serio e faceto, con la lunga storia d’amore tra l’Inter e Massimo Moratti.
Una storia che descrive le vicende di un amore spirituale, di una vocazione, di un’anima ingenuamente romantica, di una pulsione che dura tutta la vita. Quell’amore di famiglia divenuto affare di famiglia, dapprima con l’epopea vincente di papà Angelo e poi con la seconda felice parentesi legata ai fasti post-calciopoli, onorato con quell’onestà che non ha mai rappresentato un ripiego ma una scelta. Una scelta, una semplice scelta quella di giurare amore eterno all’F.C.Internazionale, regalandosi gioie e dolori, giocando quasi ossimoricamente e fatalmente con fallimento e successo, sul quel labile confine che divide la disperazione dall’estatica esaltazione.
Due amanti fuori dal coro, due battitori liberi, spesso scherniti, derisi, ma poi celebrati. Un incontenibile serbatoio di emozioni, una narrazione senza tempo. Intrecci a più livelli che affollano la mente e gli occhi in un ballo vertiginoso tra memoria del passato, utopia, dolore, speranza e certezza. La certezza che tali amori risultano eterni in quanto assoluti, autentici, totalizzanti.
Ci piace pensare che la vita, nel suo essere un continuo divenire, possa riservare all’uomo Massimo Moratti altre avventure, condurlo su nuovi sentieri. Ci piace pensare a lui come il protagonista di un nuovo romanzo che lo veda viaggiatore stanco e solitario alla ricerca di un senso dentro il buio del “non senso”. Il “non senso” di un calcio italiano, dei suoi isterici paradossi, che spesso profanano la grandezza di alcuni interpreti. La grandezza di un uomo il cui essere interista, in un mondo di urlatori rissosi e prevaricatori, ha significato stile, garbo, suggestivo racconto lirico di emozioni e sensazioni consegnate con tono sommesso, quasi sussurrate.
Un amore, il suo, ad alta densità metaforica. Un desiderio di pace, d’amore, a difesa di quella bellezza sportiva, umana, etica e morale che ha sempre inseguito e ricercato per osteggire brutture e ingiustizie.