Quando Euridice morì morsa fatalmente da un serpente, il suo sposo Orfeo si recò negli Inferi per convincere Ade a restituirgli la donna amata. Dopo aver ammaliato con la propria musica i guardiani dell’Oltretomba e superato ardue prove, l’eroe riuscì a persuadere il Dio degli Inferi, che gli pose come unica condizione di non guardare Euridice prima di aver raggiunto l’uscita. Arrivato ad un passo dal successo e intravedendo già la luce del sole, il musico si girò ad ammirarla e la perse per sempre. Un classico della mitologia greca che sembra ricalcare e riassumere la trama di fondo di Cagliari-Inter, partita valevole per la sesta giornata del campionato italiano.
A Trieste, la squadra di Mazzarri colleziona e fallisce una serie di occasioni da gol per demeriti propri e meriti del portiere cagliaritano Agazzi, prima di trovare il sudato vantaggio con Icardi. Dopo aver assaporato la vittoria e aver imboccato la strada giusta che avrebbe permesso di mettere le mani sull’intera posta in palio, i nerazzurri abbassano la guardia e il ritmo della propria manovra, innescando inconsapevolmente la reazione del Cagliari e il pareggio di Nainggolan, complice una sfortunata deviazione di Rolando. Proprio come Orfeo che, giunto a un passo dal poter riabbracciare la propria sposa, si distrae prima di esservi riuscito. L’ingresso di Milito e gli assalti finali non riescono a rompere il maleficio che sembra dirottare magicamente il pallone lontano dalla linea di porta della squadra sarda.
La rete siglata dal belga, rimasto nell’orbita interista per tempo inenarrabile, sveglia i nerazzurri da un sogno lungo cinque giornate, durante le quali entusiasmo ed esaltazione l’avevano fatta da padroni. Come, però, sono da ritenere esagerati e non del tutto meritati gli elogi post-Fiorentina, così sono da tacciare come crudeli ed esagerate le critiche dopo il pareggio odierno, frutto della mancata lucidità presso l’area di rigore avversaria: la verità, come spesso si afferma, si trova sempre nel mezzo.
Motrice della mancata vittoria è ravvisabile in una rosa che, oggi più che mai, ha dato la sensazione di non permettere la distribuzione delle fatiche della stagione tra tutti i suoi componenti. Rolando non può essere considerato all’altezza di Campagnaro, vero leader carismatico della retroguardia e assente contro i sardi per un indurimento muscolare; Belfodil, nonostante la bontà e la generosità dimostrata in campo, non può ancora essere posto alla stregua di Palacio; Pereira non rappresenta un’alternativa efficace e concreta sulle fasce.
Ed ecco che sembrano concretizzarsi e assumere un preciso valore le parole di Mazzarri che, durante la conferenza stampa, aveva esternato la propria preoccupazione per una partita preparata in meno di 72 ore e per un turnover forzato dagli impegni ravvicinati. La dimostrazione più lampante è fornita proprio dalla prestazione di Palacio, entrato nel secondo tempo e resosi assoluto protagonista, conferendo maggiore incisività ed imprevedibilità alla manovra interista. La mancanza del difensore argentino, invece, si è sentita dopo la rete di Icardi, quando sarebbe servito mantenere inalterata la concentrazione, dirigere con ordine la difesa e aggredire con più convinzione i portatori di palla avversari.
D’altro canto, l’arrembaggio finale è simbolo di un’Inter tutt’altro che arrendevole, pronta a rispondere colpo su colpo contro qualunque squadra si trovi davanti. Un atteggiamento che, ancora una volta, denota il furore agonistico che accompagnerà i nerazzurri nell’arco dell’intera stagione.
Fondamentale sarà non voltarsi indietro ad ammirare quanto fatto fino a questo momento e tenere lo sguardo fisso verso l’orizzonte. Il rischio, in caso contrario, sarebbe quello di perdere d’occhio i propri obiettivi e fare la fine del povero Orfeo…