Dal primo giorno ad Appiano fino alla notte di Madrid: Zanetti racconta la sua Inter

In occasione dell’uscita della sua autobiografia “Giocare da uomo”, Javier Zanetti ha rilasciato un’intervista esclusiva ai microfoni di Marco Franzelli per il Tg1. Ecco le sue parole:

Cosa significa ‘giocare da uomo’?

“Significa soprattutto giocare con tanti valori, con la correttezza, con la voglia di lasciare qualcosa di importante a chi ci guarda”.

Nella sua autobiografia, Agassi racconta come si possa addirittura arrivare a odiare lo sport. Tu invece racconti il tuo amore per il calcio. Cosa fa la differenza?

“Io amo il calcio, è sempre stata la mia passione. In questo libro racconto tutto il mio percorso, cosa provavo quando correvo dietro a un pallone e i sacrifici che ho fatto per raggiungere certi traguardi”.

Qual è stato il sacrificio più utile?

“Ho cercato di seguire i consigli dei miei genitori quando ero bambino: prima lo studio, poi il calcio, con la possibilità di inseguire un sogno. Non parlerei però di sacrificio, è stata piuttosto la necessità di fare qualcosa che mi facesse stare bene”.

Hai lavorato anche come muratore insieme a tuo padre. E’ stato un buon allenamento?

“Sì, è stata soprattutto una lezione di vita. Lavorare a fianco di mio padre e vedere dal vivo tutti i sacrifici che ha fatto per la nostra famiglia mi ha portato a ad affrontare nel modo giusto tutto ciò che è venuto dopo nella mia vita”.

A un certo punto, nel 1995, l’Inter è entrata nella tua vita. Cosa vi unisce?

“Sinceramente, allora non ci credevo. In quel periodo stavo iniziando a fare i miei primi passi in Argentina e vedevo il calcio italiano lontanissimo. Non pensavo potesse arrivarmi subito la possibilità di confrontarmi con un campionato così difficile. Per me era un banco di prova importante, un’opportunità che ho colto al volo, sapendo che lì avrei iniziato a scrivere il mio futuro. Sapevo che l’Inter era un grande club e ne ho avuto la conferma appena sono arrivato a Malpensa, con tutti i tifosi e con Moratti che mi ha accolto nel suo ufficio. In un giorno di temporale, sulla Terrazza Martini, mi aspettavano Bergomi e Facchetti. Lì ho capito che per me sarebbe iniziata una nuova vita”.

Vent’anni all’Inter, un matrimonio senza crisi. Come si fa?

“E’ un amore, un amore infinito. E penso rimarrà tale, perché non smetterò mai di ringraziare la famiglia Moratti e tutti i tifosi per l’affetto che mi hanno dato fin dal primo giorno. L’Inter è la mia seconda casa, un’altra famiglia che amo veramente”.

Cosa ha fatto scattare questo amore per i colori nerazzurri?

“Il vedere che l’Inter è una grande famiglia, nel bene e nel male. Soprattutto nei momenti di difficoltà e di sofferenza, quando non arrivavano i trofei che aspettavamo, siamo rimasti sempre fieri della nostra dignità. Siamo andati avanti così e alla fine sono arrivati tanti successi”.

Nel libro dici che la cosa migliore del calcio sono i giocatori. E’ proprio così?

“Sì, penso che i giocatori possano sbagliare tante volte ma resta l’onestà e la dignità con cui si prova sempre a fare il massimo in campo”.

Una definizione per ogni allenatore: cominciamo da Mancini…

“E’ stato l’allenatore che ha iniziato il nostro percorso vincente. Fa fatto un grandissimo lavoro”.

Tardelli…

“E’ stata un’annata difficile, in cui abbiamo cambiato tanti allenatori. Quando abbiamo perso il derby 6-0 si è rotto qualcosa”.

Nel libro dici che Tardelli è stato il peggiore…

“Non so se sia stato davvero il peggiore, ma è quello con cui ho legato di meno”.

Lippi…

“La società gli ha dato tutto per lavorare nella maniera migliore e fare una grande squadra, ma purtroppo non è stato così. Ovviamente non è stata solo colpa sua, ma abbiamo attraversato una stagione molto complicata”.

Come hai reagito dopo aver sentito la sua famosa frase di Reggio Calabria: ‘Se fossi io il presidente prenderei i giocatori a calci nel sedere”?

“Mi ha dato fastidio perchè credo non sia stato un comprtamento giusto nei confronti del gruppo. Si possono fare errori gravi, ma c’è modo e modo di comunicare con la squadra per far capire che non si è sulla strada giusta”.

Cuper…

“Mi è dispiaciuto tantissimo com’è finito il suo legame con l’Inter. Era una persona molto seria e molto capace nel suo lavoro. Purtroppo ha pagato il 5 maggio”.

Andrea Agnelli ha detto: “Il campionato italiano è diventato di passaggio, i grandi campioni vanno altrove”. Sei d’accordo?

“Sono cambiati un po’ i tempi. Una volta i campioni volevano venire in Italia, adesso la realtà è un’altra. Però sono del parere che non sia proprio così, perché il campionato italiano resta il più complicato e mantiene il suo fascino. Dobbiamo far sì che la Serie A rimanga in alto”.

Dai un voto alla tua carriera: nel libro ti sei dato 7,5. Lo confermi?

“Sì, credo che sia stata una carriera importante. Ho difeso i colori di una maglia con tanta storia alle spalle. Ho indossato la fascia di capitano e realizzato tanti sogni. Devo ringraziare chi mi è stato accanto”.

Che voto dai all’Inter di Mazzarri dopo queste prime partite?

“Anche un 7,5, o un 8. Si è iniziato un percorso nuovo, con un allenatore molto capace e con le idee molto chiare. Se continuiamo così, credendo in quello che facciamo, possiamo far sì che l’Inter torni a essere protagonista”.

E’ un’Inter da scudetto?

“E’ presto per dirlo, ma dobbiamo essere capaci di mantenere una certa continuità fino alla fine. Credo che ci siano i presupposti per poter almeno lottare per questo traguardo”.

Mazzarri assomiglia a qualcuno dei tanti allenatori che hai conosciuto?

“Può assomigliare un po’ a Cuper per la dedizione al lavoro e per come vive partite e allenamenti. Cura molto i dettagli, è un allenatore che fa sudare ma poi alla domenica si vedono i risultati”.

Prandelli ha detto che i giovani in Italia faticano perché mancano di personalità e di tecnica. Sei d’accordo?

“In qualche caso sì, in questo settore qui si deve lavorare tanto. Un giovane per me deve essere già preparato ed essere consapevole delle responsabilità che si hanno in una grande squadra. Può commettere qualche errore dovuto all’età, ma sono errori necessari per crescere”.

Allegri ha detto che i calciatori sono un esempio e che creste e orecchini non servono. Cosa ne pensi?

“Sono d’accordo. Ci dobbiamo rendere conto che siamo un esempio per tanti bambini che ci guardano come idoli. Noi dobbiamo sempre avere, in campo e fuori, un’immagine che permetta loro di aspirare a qualcosa di importante”.

Nel libro dici che Balotelli oscilla da grande giocatore a vero campione. Quando si fermerà questa oscillazione?

“Io credo che Mario debba trovare l’equilibrio…”

Lo troverà?

“Spero di sì perchè ha un grandissimo talento, ma deve stare più tranquillo e fare quello che sa fare, ovvero giocare a calcio. Ho parlato tante volte con lui, ma rientra nell’insieme di quei giovani che magari ti ascoltano anche, ma poi continuano a sbagliare. Quando ti rendi conto di dove hai sbagliato, poi arriva la maturazione. Spero che Mario possa trovare prima o poi il suo equilibrio”.

Definisci Balotelli “un jazzista del calcio”, perché improvvisa. E’ una qualità o un difetto nel calcio di oggi?

“Per lui è sicuramente una qualità. E’ uno di quei giocatori che in ogni momento può inventare la giocata vincente”.

Quando ha gettato a terra la maglia dell’Inter, ci sei rimasto male?

“Sì, perché è un gesto che non si fa assolutamente. Ma credo che dopo aver fatto quel gesto si è accorto subito di avere sbagliato. In quel momento non gli ho detto nulla perché la partita era troppo importante e non c’era tempo di spiegargli certe cose. Dopo il fischio finale, però, nello spogliatoio si è scusato ed è finita lì”.

Mourinho cos’ha di diverso dagli altri?

“Mourinho è un allenatore e, soprattutto, un uomo di grande personalità. E’ un vincente, che cura tutti i dettagli. Con noi ha fatto due anni che rimarranno per sempre nel cuore di tutti gli interisti”.

Ci racconti un aneddoto?

“Quando a Kiev perdevamo 1-0 all’intervallo ed eravamo praticamente fuori dalla Champions, lui nello spogliatoio ci disse che avremmo dovuto rischiare il tutto per tutto, tolse due difensori e inserì due attaccanti. Ce lo disse con una convinzione tale che noi andammo in campo e vincemmo la partita. Siamo tornati sul terreno di gioco sapendo che sarebbe potuto succedere”.

Qualcuno sostiene che Rudi Garcia assomigli a Mourinho?

“Non lo conosco di persona e non posso giudicare, ma da quello che sta facendo mi sembra un allenatore molto preparato”.

La Roma capolista è una sorpresa?

“No, perché ha ottimi giocatori e una quadratura che le ha permesso questa continuità”.

Conte ha rievocato il ‘rumore dei nemici’. Ma è vero che ci sono tanti nemici attorno alla Juve?

“Ci sono nemici per tutte le squadre vincenti. Credo sia normale che tutti vogliano vincere con chi vince da tanti anni”.

Totti ha scritto un tweet quando ti sei fatto infortunato, dandoti appuntamento per Roma-Inter. Vi rivedrete lì?

“Spero di sì. Francesco è un grande, sono contento per il momento che sta vivendo. Ci siamo abbracciati prima di Inter-Roma e mi ha chiesto come stavo. E’ stato uno dei primi a chiamarmi dopo l’infortunio. Mi ha fatto un enorme piacere vedere che lui è stato uno dei primi a farsi vivo in un momento di difficoltà”.

Qual è il segreto di chi, come voi, vive una carriera così lunga?

“Penso sia la passione per questo sport e la voglia di essere utili per compagni e società”.

Quanto ti manca il Mondiale 2010 che Maradona ti ha negato?

“E’ stato un periodo difficile per come è stato vissuto. Io credo che lo meritavo perché ho fatto tutto il percorso fino alle ultime due amichevoli. Ma non porto rancore, questo è il calcio. Sono tranquillo perché ho fatto tutto quello che serviva per esserci, poi la decisione finale non dipendeva da me. E’ andata così, ma l’Argentina sarà sempre parte della mia vita. Ho difeso la maglia albiceleste con tanto orgoglio, in qualsiasi parte del mondo. E’ stata una grande felicità, anche perchè da bambino sognavo almeno una partita in nazionale e ne ho fatte più di 140”.

Quanto saresti triste se Moratti dovesse lasciare l’incarico di presidente?

“Io credo che, anche senza essere presidente, Moratti sarà sempre l’Inter perché la sua famiglia ha dedicato tanto amore e tanta passione a questo club. Il presidente ha dei sentimenti unici per questa maglia. Io sono stato uno dei primi acquisti della sua era e sono molto legato alla persona, più che al presidente”.

Sta cambiando il calcio: i sentimenti lasciano spazio al business…

“Sono cambiati i tempi. Viviamo un’altra realtà e per sopravvivere si devono fare anche scelte dolorose”.

E questo può riguardare anche l’Inter…

“Sì, ma l’Inter è una grande famiglia. E, per questo, deve dire grazie alla famiglia Moratti”.

Nel libro racconti di aver parlato alla Coppa dei Campioni. Come è andata?

“E’ andata benissimo. Al termine della partita, dopo i festeggiamenti, quando ho portato la Coppa nello spogliatoio, l’ho appoggiata per terra e le ho detto: ‘Ti inseguivo da tanto tempo e ora finalmente sei fra le mie braccia’. E’ stato uno dei momenti più emozionanti della mia carriera. Capivo l’importanza di questo traguardo. Già mi sono emozionato quando sono uscito coi compagni per il riscaldamento e ho visto la nostra curva piena. Quando l’arbitro ha dato il recupero, ho guardato Samuel e abbiamo iniziato a piangere. Vincevamo 2-0 e mancavano tre minuti. Walter però, essendo un duro, mi invitava alla calma. Fu un’emozione immensa anche arrivare a San Siro alle sei del mattino con lo stadio quasi pieno che ci aspettava. Avere il privilegio di indossare la fascia da capitano e dare ai tifosi questa allegria è stata una cosa indimenticabile”.

Poi avete vinto il Mondiale per club…

“Anche quello fu un momento importante. C’erano tanti tifosi, c’era la mia famiglia. Durante la premiazione avevo indossato la maglietta di Samuel, che si era fatto male al ginocchio e non poteva essere con noi. Ma era giusto che fosse con noi perchè aveva contribuito in maniera decisiva al nostro ciclo”.

Hai un rapporto molto profondo con la fede?

“Sì, anche la mia famiglia è molto cattolica. E’ una lezione di vita”.

Quanto è stato emozionante incontrare Papa Francesco?

“La prima emozione è stata nel momento dell’elezione. Vedere un mio connazionale Papa è stato bellissimo. Una delle prime telefonate fu proprio di Moratti, c’era grande felicità. Bergoglio ha un grande cuore, è uomo dalla semplicità unica. Parlare con lui di tanti argomenti, della mia fondazione e di tutti i problemi che ci sono nel mondo è stata un’emozione unica”.

Tanti soprannomi, quale preferisci?

“Tutti, ma soprattutto ‘Pupi’ perché è associato alla mia Fondazione. Tutti mi conoscono così”.

La tua fondazione è un impegno che ti fa bene?

“Sì, ogni volta che torniamo in Argentina vediamo i ‘nostri’ bambini fare dei progressi. Per noi è il risultato più bello. E’ una bellissima responsabilità e ringrazio il popolo italiano perchè mi è stato vicino in tutte le iniziative che ho fatto”.

La scelta che ti ha cambiato la vita?

“Credo che in ogni momento della vita vadano fatte delle scelte. La mia vita è cambiato quando ho scelto di venire in Italia”.

Dietro un uomo di successo c’è sempre una grande donna. Vale anche per te?

“Sicuramente. Non sarei riuscito a fare niente di quello che ho fatto senza l’aiuto di Paula”.

L’errore più grande che hai fatto?

“Ne ho fatti tanti, ma sono serviti per crescere”.

A cena con un nemico per far pace: chi sceglieresti?

“Non so se ho nemici, è una brutta cosa individuare un nemico. Potrei andare a cena con tutti, anche se la pensiamo diversamente”.

La canzone che ami?

“Più bella cosa di Ramazzotti, mi fa sentire bene. Mi è capitato anche di cantarla con Eros.’Grazie di esistere’… e vale anche per l’Inter”.

Quando ti rivedremo in campo?

“Spero presto, sono nell’ultima fase di questo recupero lunghissimo. Ci siamo quasi”.

Ma per più partite?

“Sì, speriamo di sì…”

E dopo? Farai l’allenatore?

“No, vorrei fare qualcosa in società come dirigente ma la cosa più importante è restare legato all’Inter”.

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