Da punto fermo ad equivoco tattico. La strana parabola di Mateo Kovacic, piuttosto insolita per un fresco maggiorenne. Dopo un anno da buttare, il talentino croato pareva essere l’unica certezza da cui ripartire.
Scelta coraggiosa – in tempi di magra – della dirigenza, già beniamino dei tifosi, pupillo dell’allenatore uscente e, stando alle prime impressioni, apprezzato dal mister entrante. Tutto pronto per la definitiva esplosione di Mateo, pronto a prendere le redini di un centrocampo che per troppi anni ha difettato di qualità. Poi l’infortunio durante la preparazione, l’ascesa di Alvarez (di cui Mazzarri aveva richiesto l’immediata defenestrazione nei primi incontri con la dirigenza) e lo spazio per il dieci nerazzurro si fa sempre più ridotto: scampoli di partita da subentrante, poche occasioni nell’undici titolare con prestazioni opache, la sostituzione dopo sette minuti di Torino che ha ulteriormente minato il morale già basso del croato.
Quella di sabato poteva essere la sua grande occasione, chiamato al riscatto fin dal primo minuto. Niente di memorabile: qualche guizzo e quella sensazione persistente che quello non sia il suo ruolo. Sensazione provata già lo scorso anno quando, seppur in tutt’altro ruolo (per bisogni contingenti) e con ben altro rendimento, Mateo pareva ancora ben lontano dal collocamento ideale sul terreno di gioco. Accelerazione bruciante, visione di gioco, testa alta sono i punti di forza di Kovacic ma c’è anche il lato oscuro, la poca lucidità in zona gol e la scarsa efficacia in fase di interdizione, limiti che gli impediscono, rispettivamente, di giostrare da trequartista o da quello che un tempo si chiamava centromediano metodista.
Kovacic al momento è una mezzala con tutto il talento e le potenzialità per poter evolvere in altro. Ma va sfruttato e valorizzato per quello che è. La concorrenza di Guarin ed Alvarez è forte e potrebbe e dovrebbe essere salutare per un ragazzo in via di formazione. Ma che essa non diventi un alibi per impedire lo sviluppo del talento più cristallino che abbiamo in rosa. Va trovata una soluzione. Noi proviamo a proporne una.
Un 4-4-2 camuffato. In difesa verrebbe confermato il blocco dei tre titolari a cui andrebbe affiancato uno solo fra Nagatomo e Jonathan, libero di spingere, con Campagnaro o Juan Jesus scalati in fascia, ad equilibrare, a seconda che in campo ci siano il giapponese o il brasiliano, e il conseguente posizionamento a tre in fase di possesso. Ci sarebbe finalmente un compagno di reparto (quello più sano in rosa) per Palacio che, pur avendo fatto fin troppo bene da unica punta, ha dimostrato di rendere al meglio se supportato da un “collega”. Infine il centrocampo: un mediano a scelta tra Taider e Cambiasso, che non può giocare trentotto partite da titolare, e poi il trio Guarin-Alvarez-Kovacic (per essere sicuri di non lasciare nessuno fuori) in una sorta di rombo, ad alternarsi nelle due fasi.
E’ troppo, mister?
Giovanni Cassese
(Twitter: @vannicassese)